Di ritorna da Gaza. Dicembre 2021

Pubblicato il 15 dicembre 2021 da Gazzella
 

Di ritorno da Gaza. Dicembre 2021

Sono ritornata a Gaza durante la “pausa “ emergenza Covid. Fino al 31 ottobre scorso l ‘entrata in Israele era molto difficile. Dal 1 novembre, per un calo delle infezioni, il governo israeliano ha facilitato le entrate, ma è stato comunque abbastanza complicato arrivare. Assicurazione sanitaria, green pass del ministero salute israeliano, autorizzazione per entrata in Israele, test molecolare prima della partenza e all’arrivo all’aeroporto, 24 ore di quarantena. Finalmente l’arrivo nella striscia di Gaza dove si affronta l’infezione covid con scarsità di materiale sanitario per la prevenzione quali kit igienici, tamponi, medicinali e mancanza di posti letto per i casi più gravi. Il 39% della popolazione è vaccinato.

Ma a Gaza non c’è solo pandemia; lo scorso mese di maggio Israele dava avvio all’operazione “guardiano delle mura”. Undici giorni di attacchi contro i civili: 232 morti, tra le vittime 66 erano bambini , 39 donne e 17 anziani. Più di 1400 feriti.

Già prima dell’aggressione la popolazione di Gaza era in ginocchio a causa di 14 anni di assedio. La ong per i diritti Umani Human Rights Watch ha affermato nel suo rapporto che “l’esercito d’occupazione israeliano, a maggio del 2021, ha effettuato attacchi, durante la guerra contro la Striscia di Gaza che apparentemente equivalgono a crimini di guerra”. Prosegue “Le forze israeliane hanno effettuato attacchi a Gaza che hanno devastato intere famiglie senza alcun apparente obiettivo militare nelle vicinanze”. Il rapporto accusa anche le fazioni palestinesi di Gaza di aver lanciato razzi per respingere l’aggressione israeliana. L’Autorità di Gaza ritiene Israele responsabile dei crimini commessi contro la popolazione civile e per voce del suo rappresentante dell’ufficio relazioni internazionali, B.N., ribadisce che “ i palestinesi hanno esercitato il loro legittimo diritto di resistere all’occupazione nell’ambito del diritto internazionale e con le capacità a loro disposizione. La resistenza ha mostrato la sua costante volontà di evitare di prendere di mira i civili, nonostante tutti i massacri commessi dal nemico contro i nostri bambini e le nostre donne[…]”

Nel corso delle visite ho incontrato bambini rimasti rimasti feriti durante gli attacchi dello scorso mese di maggio ed entrati nel progetto di adozione a distanza di Gazzella. Rima ha undici anni. La mamma ha raccontato “…eravamo tutti in casa, non abbiamo sentito alcun rumore, una bomba ha investito la casa e tutto ha preso fuoco”. Le ferite riportate da Rima, su diverse parti del corpo, sono simili a quelle dei bambini colpiti nel 2008-2009 durante l’aggressione ”piombo fuso” con bombe al fosforo e altre tipologie di ordigni. Il padre di Rima è deceduto a causa delle ferite riportate. Omar invece ha solo un anno, compiuto lo scorso 8 novembre. Lui crescerà senza la sua mamma e i suoi 4 fratelli, Abderahman, Osama, Yaha, Sohaib rimasti sotto le macerie della casa bombardata. Anche la zia e quattro cugini sono morti. Erano tutti insieme in casa a celebrare il Ramadan. Omar estratto dalle macerie dopo ore ha riportato ferite alle gambe e alla testa, ma è sopravvissuto!

Già lo scorso 2014 la Corte Penale Internazionale dell’Aja aveva avviato un’inchiesta nei confronti di Israele per crimini di guerra, ma lo stato di Israele, con il quale l’Europa intrattiene stretti rapporti economici, di sicurezza etc., non riconosce l’autorità del Tribunale Internazionale!

I palestinesi attendono una condanna da parte della comunità internazionale per le continue aggressioni e crimini.

Durante la fase acuta della pandemia e dopo l’aggressione dello scorso mese di maggio, grazie ai contributi dei nostri donatori, i partner local, Le associazioni Hanan e I’mar, hanno distribuito aiuti in generi alimentari e materiali sanitari.

Nel corso delle visite ho incontrato i bambini presso le strutture dei nostri collaboratori perché le visite a casa erano sconsigliate causa l’infezione covid. Incontri, sempre molto sentiti e le famiglie sono riconoscenti per il nostro costante sostegno e aggiungono “…..senza lavoro non si può vivere, nessuna possibilità di muoversi, non ci sono cure sanitarie adeguate e continuative. A Gaza si tira a campare”.

I racconti dei bambini e dei loro famigliari sono pieni di ansia e paura ripensando agli undici lunghi giorni di bombardamenti. In tanti hanno abbandonato le proprie case perché l’area dove abitavano era sotto intensi bombardamenti. Si sono trasferiti presso parenti o nelle scuole dell’Unrwa, consapevoli che a Gaza non c’è alcun luogo sicuro. I bambini con disabilità o feriti e i componenti delle loro famiglie, anziani e malati, hanno incontrato difficoltà enormi. Circa 77.000 persone – dati dell’Unrwa – hanno abbandonato le case e non tutti hanno ancora potuto rientrare nelle loro abitazioni.

Durante l’operazione “guardiano delle mura” strutture pubbliche e scuole dell’Unrwa hanno subito danni o sono state distrutte. Danni anche a infrastrutture per l’erogazione dell’acqua, ai servizi sanitari e impianti elettrici. C’è una forte necessità di ricostruire le abitazioni e ci sono ancora case distrutte nel corso dei bombardamenti del 2014, ancora da riedificare. Resta il problema delle chiusure dei valichi e il fatto che i costi dei materiali per la ricostruzione sono significativamente aumentati sul mercato. L’ energia elettrica continua ad essere erogata per sole 6/ 8 ore al giorno.

C’è la consapevolezza che alla fine di ogni aggressione armata israeliana, seguirà la dichiarazione di un cessate il fuoco; “….poi la gente inizierà a ricostruire dalle macerie, con la sola prospettiva di aspettare una nuova ondata di bombardamenti che distruggerà di nuovo quanto appena ricostruito”.

A Gaza il 64% della popolazione non ha un lavoro e vive di aiuti umanitari. L’Unrwa a novembre non aveva fondi per pagare i salari ai suoi impiegati e l’Autorità di Gaza riesce a malapena a coprire il 40-50% dei salari dei dipendenti pubblici, grazie ai finanziamenti, a singhiozzo, del Qatar. A Gaza sono in tanti ad affermare che gli aiuti umanitari sono indispensabili, “….ma non sono la soluzione per la nostra causa e il riconoscimento dei nostri diritti”.

Non vogliono essere dimenticati, ma non vogliono essere mantenuti dalla cooperazione internazionale. È chiaro che se agli aiuti finanziari non corrisponde una volontà politica per una giusta soluzione con restituzione della terra e diritto al ritorno, questi aiuti danno una prima risposta ai bisogni essenziali della popolazione, ma di fatto si mantiene lo stato delle cose: continua la violazione dei diritti, occupazione, distruzione del contesto sociale e culturale.

Da qualche mese Israele ha aperto il valico di Erez per far passare alcuni lavoratori palestinesi. In tanti chiedono di avere questa opportunità! Lavorano per costruire nuovi insediamenti, strade o come contadini. È riconosciuto che i palestinesi sono grandi lavoratori e si adattano facilmente. Per chi va a lavorare in Israele non ci sono contratti di lavoro e solo sistemazioni di fortuna. Una manna per gli imprenditori israeliani che con il lavoratore palestinese non pagano tasse, contributi, nessuna copertura sanitaria e se stai male o hai un infortunio vieni rispedito a Gaza. Una politica di annullamento della persona fino alla mercificazione. “Soggettività normalizzate” che attraverso l’accettazione dello status quo in cambio di qualche soldo si piegano ed aderiscono ad un sistema di vita-lavoro disumanizzante.

Frustrazione e stanchezza sono un sentire diffuso a Gaza. Chi è stato in prima fila nelle manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno racconta che ha creduto nelle iniziative e pronto a riprendere, ma è convinto che debba esserci un’unità delle fazioni palestinesi e “un leader che non sia l’attuale fantoccio”. Un leader che in modo credibile e deciso sia portatore dei diritti del popolo palestinese.

Lo scenario politico è infatti “sconfortante”. Tre anni fa il l parlamento israeliano ha approvato una legge che definisce Israele come lo stato nazionale del popolo ebraico. L’Autorità Nazionale Palestinese brilla per la sua cooperazione con le forze di sicurezza israeliane per far arrestare i palestinesi più attivi per la difesa dei diritti. A Gaza l’A.N.P. ha congelato i conti correnti di associazioni vicine al Fronte Popolare e all’ex di Fatah Dahaln, mentre a congelare i conti di associazioni vicine ad Hamas ci pensa Israele. Blocco delle entrate finanziere per fermare gli aiuti che le associazioni caritatevoli e non, portano alla popolazione, mentre l’Europa continua a finanziare l’A.N.P. per pagare i salari ai suoi dipendenti che non lavorano. Durante la visita in Italia lo scorso mese di ottobre, Abbas Abu Mazen presidente dell’A.N.P . “scaduto” nella sua carica da più di 10 anni , ha ribadito la soluzione dei due Stati. Oggi se in Palestina parli di una soluzione di due stati, Palestinese ed Israeliano, si soffocano in una grande e triste risata, perché i fatti dicono altro. La striscia di Gaza con i suoi circa 400 kmq è una prigione chiusa da un blocco terrestre, aereo e marittimo; Gerusalemme è di fatto la capitale di Israele, in baffo allo status internazionale sancito dalle risoluzioni dell’Onu. A Gerusalemme Est continuano le violazioni, occupazione e distruzione delle case, per fare spazio ai coloni. Violenze continue per il trasferimento forzato di intere famiglie dal quartiere di Sheikh Jarrah. Civili che da Nablus a Hebron chiedono i loro diritti, libertà di movimento, di lavorare, di andare a scuola. Una violenza continua, denunciata, ma Israele mantiene il potere di allontanare i palestinesi dalle loro terre. Queste sono palesi violazioni dei diritti umani, ma testimoniano anche il fallimento delle politiche internazionali .

Sulla scena quello che potrebbe maturare nei prossimi mesi: Biden, nell’interesse di Israele, ha messo sul “tavolo” i finanziamenti per l’Egitto che dovrebbero servire per la costruzione di nuove abitazioni e infrastrutture (ponti, strade, centrali elettriche) nella striscia di Gaza. Sul “tavolo” c’è anche un accordo tra Egitto e Qatar per il controllo istituzionale della striscia; ed infine si parla di un’apertura politica e dialogo tra Hamas e Fatah. Nei Territori Occupati, la Giordania che ha firmato un trattato di pace con Israele nel 1994, ma che si oppone al cosiddetto piano di pace di Trump del 28 gennaio 2020, oggi sembra pronta ad accettare il controllo dei Territori con il supporto di forze militari americane. Cosa sarà lo vedremo nei prossimi mesi, ma è uno scenario che se si dovesse concretizzare, anche solo in parte, significherebbe la liquidazione della causa Palestinese

Durante la visita a Gaza ho avuto un confronto con i nostri partner locali sui fatti degli ultimi mesi relativi alla criminalizzazione di sei Organizzazioni palestinesi da parte del ministro alla difesa israeliano Gantz. Accuse non motivate che impediscono il diritto alla difesa e a un giusto processo. Preoccupazione da parte dei nostri collaboratori che dicono “anche per noi ci potrebbe essere lo stesso trattamento”. Pur senza prove, ma basandosi sulla diffamazione e intimidazione, Israele sta operando contro queste Organizzazioni con arresti, perquisizioni e blocco delle attività. Conveniamo che la comunità internazionale dovrebbe fermare l’agire illegale di Israele.

Rientro in Italia quando Israele sta chiudendo l’aeroporto all arrivo di voli internazionali, causa nuova infezione Covid.

Dato positivo: i controlli in partenza sono stati veloci!

11.12.2021

G.

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