Dalle volontarie di Gazzella a Gaza – 30 Aprile 2018

Pubblicato il 1 maggio 2018 da Gazzella
 

Un tardo pomeriggio del 30 aprile. Altri giorni sono passati. Abbiamo la conta dei feriti e dei morti di venerdì. Troppi. Al Jazeera la sera parlava di 4 morti e 630 feriti. Nel frattempo un altro ferito è morto.

Il giorno dopo abbiamo scoperto di essere andate via giusto in tempo. Gli israeliani sono avanzati nel territorio di Gaza e hanno inondato anche l’area dove erano le famiglie, mamme e bambini, vecchi, cavalli e carretti, venditori improvvisati, tende e comizi, di gas lacrimogeno ed è stato tutto un fuggi fuggi con gente che è inciampata, insomma il caos. Immagino i tendoni della Mezzaluna rossa invasi da gente, il casino più totale. Infatti c’era davvero tanta gente e se tutti si sono messi a scappare dev’essere stato terribile.

Diceva Maher la sera dopo: vi ho portato lì perché ero tranquillo che fosse sicuro (in effetti eravamo lontano dalla prima linea di ragazzi) dopo quello che ho visto non vi porterei più. Ci saranno ancora due venerdì e presumo che la tensione salirà ancora. Altri feriti, altri morti. Ho visto alcune foto di feriti, la sorella di due di loro. Le ferite alle gambe erano profonde. Un’altra mamma che abbiamo incontrato ci ha mostrato la foto del figlio bendato in testa. Carne da macello.

In questi giorni abbiamo anche provato a capire meglio. C’è il problema dei media occidentali che parla di Hamas, ma questo è stato negato proprio da tutti. Quelli del fronte dicono che tutti i partiti sono coinvolti. In effetti non ci si può stupire che visto il successo di questi venerdì (in termini di numeri di persone presenti e di ragazzi attivi) i partiti si sono coinvolti e cercano di mettere la firma sopra e di rendersi protagonisti. In realtà abbiamo anche un’altra versione confermata da più parti: l’iniziativa è partita da giovani, universitari, istruiti ecc., non necessariamente middle class o benestanti, che non ce la fanno più: studiano e rimangono disoccupati, nessuna prospettiva di lavoro, di futuro, di uscire. Niente! C’è quindi una realtà nuova. Non necessariamente giovani dei partiti, non fondamentalisti, non “alqaidaisti” non salafiti (eppure entrambi sono presenti a Gaza tenuti a bada da Hamas). Una sorta di primavera palestinese, fatta da giovani,senza barba, in T-shirt , sostenuta dalle loro famiglie, e ovviamente anche dai partiti. Che però non sono l’anima e gli iniziatori di questa iniziativa.

Mi viene in mente coloro che due anni fa avevano organizzato il festival del cinema a Gaza “let’s us breath” era il titolo del festival. Lasciateci respirare, lasciateci vivere, vogliamo un futuro. Tutto inizia con la deportazione delle famiglie da Israele. La perdita della terra (nessuno li ha rimborsati) poi i campi profughi, dapprima fatti di tende poi da edifici stretti tra di loro, la povertà, la miseria, sacrifici per far studiare i figli e il destino di disoccupati.

E’ giusto ribellarsi a tutto questo. Ma e poi? Potremmo noi fare qualcosa di più in Europa? Da mail ricevute da Sancia dall’America, sempre più ebrei americani di NY firmano per il BDS, giovani ebrei Newyorchesi hanno manifestato contro le uccisioni e i feriti palestinesi di Gaza e contro l’occupazione feroce che blocca ogni possibilità di vera attività economica; addirittura un College ebraico della Columbia University ha firmato per il BDS, il boicottaggio di Israele. Quanto tempo ci vorrà perché le nostre università facciano questo?

Pensarlo forse vuol dire sognare? Ci sono tempi in cui abbiamo bisogno di sogni. Ce lo ricordano questi ragazzi di Gaza che sfidano i blindati israeliani tutte le settimane. Ho cercato di incontrare questi ragazzi, parlare con loro. Abbiamo avuto anche un contatto con un giornalista vicino a loro. Ma la nostra agenda è troppo piena e purtroppo ci sono sempre i giorni di festa in mezzo e dobbiamo concludere le cose da fare prima di partire.

E poi vince la propaganda israeliana. Gaza è chiusa, è difficilissimo entrare; di fatto non ci sono testimoni. Non si può fare come durante la seconda intifada “Io donna vado in Palestina” promossa da Luisa Morgantini: una catena di testimoni che potevano dire quello che avevano visto, quello che avevano sentito, gli incontri che avevano fatto.

Gli aiuti a Gaza si riducono agli aiuti di emergenza ed umanitari. Gli “internazionali” (come noi) hanno delle cose da fare, rimane Meri Calvelli che da anni lavora, segue e promuove questi giovani. E’ riuscita a organizzare un Erasmus tra Gaza e Siena. Queste sono occasioni preziose sia per chi viene a stare a Gaza che per i ragazzi gazawi.

Le nostre giornata passano negli incontri (assolutamente interessanti e preziosi) con le donne che hanno usufruito della formazione in vista del microcredito. E’ fondamentale ascoltare le loro storie: quest’anno sono donne di Al-Shejaeya, Est di Gaza, gravemente colpita dall’attacco del 2014. Visite alle famiglie di bambini feriti e disabili (la consanguineità è una vera piaga qui a Gaza). Abbiamo poi sessioni di lavoro per impostare la rendicontazione dei progetti, conversazioni, non mancano momenti conviviali con le donne di AISHA (ci aspettano per la colazione sempre ricchissima e per il pranzo). Tra l’altro abbiamo scoperto che senza volerlo abbiamo contribuito ad istituire una tradizione: due volte all’anno, quando noi veniamo a Gaza, AISHA fa preparare da qualche donna che lavora in associazione il pranzo, e si mangia tutte insieme a fine lavoro (15 – 15.30). Sono sempre pranzi stupendi. Lo abbiamo scoperto perché stupite da questi pranzi, abbiamo chiesto se mangiano sempre così a pranzo e mi hanno detto che no, lo fanno solo quando siamo noi qui e per tutte è una festa. Ovviamente solo poche parlano inglese, ma tutte insieme siamo più di 20 ci scambiamo molti sorrisi “habibi” c’è sempre qualcuna che traduce e così più o meno comunichiamo. Con noi ci sono anche dei “ragazzi”, il presidente di AISHA, Elias, un uomo extra, cristiano, del fronte popolare, domani I maggio parlerà alla manifestazione, uno psichiatra, l’autista, e alcuni insegnanti di fotografia e video. Tra l’altro da poco AISHA ha aperto una nuova sede dove oltre ad una palestra per yoga per donne ed attività circense, ci sono delle stanze per l’accoglienza psichiatrica (e ce n’è un estremo bisogno) rivolto a donne e bambini ma anche a mariti drogati, e un laboratorio fotografico relativamente ben attrezzato con una telecamera e vari proiettori led x riprese.

Insomma AISHA è in piena attività e non mi stupisco perché Reem la direttora esecutiva è una donna molto accogliente ma pugnace, e riesce a attrarre sempre delle persone interessanti. Donne entusiaste, volontarie. Con molta calma è attenta a tutto e capace sempre di nuove proposte e progetti e AISHA così cresce.

Reem viene da una famiglia di profughi che abita al campo di Khan Younis, lei stessa vive al Beach Camp in una casa sul mare dove vive la sua famiglia e quella del cognato.

Intanto si è fatto sera. Con Sancia abbiamo deciso di farci “due spaghi” aglio aglio e pomodoro a tocchi (qui buonissimo). Abbiamo anche un melone e ce lo mangeremo con il prosciutto. E’ vero che ci piace il cibo palestinese, anzi lo troviamo super buonissimo ma siamo pur sempre italiane…

E domani ci aspetta la manifestazione, un tourist tour per Gaza (!!) e un altro pranzo palestinese. Quattro cose ancora da finire, foto e testi da mandare a Roma per non far innervosire gli israeliani e poi fuori. Tutto il cibo avanzato lo portiamo ad AISHA, meno che il prosciutto…

Gaza City, 19.30, 30 aprile 2018

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