Relazione del secondo viaggio di Gazzella nella striscia di Gaza nel novembre 2017

Pubblicato il 15 dicembre 2017 da Gazzella
 

2° rapporto di viaggi di Gazzella nella striscia di Gaza nel novembre 2017

Nel mese di novembre abbiamo compiuto due missioni nella striscia di Gaza. La relazione di viaggio della prima missione vi è stata spedita il 25 novembre 2017. La sottostante relazione, relativa alla seconda missione vi viene spedita oggi 15 dicembre 2017.

Buona lettura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Stiamo ancora sorvolando il mare, quando l’hostess annuncia “per ordine delle autorità israeliane da questo momento è fatto divieto riprendere immagini”. Sto arrivando in Palestina. Trascorro una notte a Gerusalemme, una città affollata di turisti ignari della ebraicizzazione della città e dell’occupazione che sta cancellando la presenza dei Palestinesi nella Gerusalemme est.

Arrivo nella striscia di Gaza il 9 novembre, e al border sventolano bandiere egiziane. Gli amici palestinesi spiegano che è un “ringraziamento” al governo egiziano, o meglio al regista dell’intesa El Sisi, per il lavoro politico svolto in nome della “riconciliazione” tra Fatah e Hamas. L‘Egitto, lo Stato che ha assassinato Giulio Regeni, che ricorre ad arresti arbitrari, alla tortura, al sequestro e sparizione di persone, torna ad avere un ruolo da protagonista nella striscia di Gaza. Mentre arrivo a Gaza è in corso una manifestazione indetta dai sostenitori di Dahlan per commemorare la morte di Arafat. In anticipo di 2 giorni sulla data di morte del leader palestinese, 11 novembre. Spiegano che le due fazioni di Fatah, sostenitori di Dahlan e quelli di Abu Mazen, non hanno raggiunto un accordo per una commemorazione unitaria, quindi Fatah fara’ la sua iniziativa il giorno della morte del leader. E così l’11 novembre migliaia di palestinesi sfilano per le vie di Gaza e sui muri le immagini di Arafat e Abu Mazen, quest’ultimo sembra non molto gradito visto che molti poster sono stati strappati.

Adozioni e Resistenza. Durante la permanenza a Gaza ho visitato i bambini nel progetto di adozione e seguiti dai nostri partner: Palestinian Medical Relief Society (P.M.R.S.), Emaar e Hanan. Alcuni dei bambini incontrati sono fortunatamente in buona salute e comunque le loro condizioni sono migliorate; per altri affetti da sindrome down o cerebrolesi purtroppo le condizioni sono invariate e in alcuni casi aggravate. I nostri partner, oltre alla distribuzione degli assegni alle famiglie, svolgono attività a favore dei bambini che sono nel programma Gazzella. I bambini sordomuti, che hanno l’impianto cocleare seguiti dall’associazione Emaar, sono inseriti nel progetto scolastico Basma, ”sorriso”. I bambini hanno fatto progressi sia nella parola che nella scrittura. Questo progetto è sostenuto anche grazie ai contributi dall’Associazione Salaam di Trieste. I bambini feriti in carico al P.M.R.S. sono inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno psicologico. L’associazione Hanan che segue i bambini con handicap gravi, grazie al contributo della chiesa evangelica in collaborazione con Gazzella, ha in essere un progetto rivolto in particolare alle mamme dei bambini disabili. Il progetto è finalizzato alla formazione dei familiari affinché possano acquisire autonomia nella gestione quotidiana delle difficoltà che riguardano i figli con disabilità.

Le famiglie dei nostri bambini sono profondamente riconoscenti a tutti gli amici italiani che continuano a sostenerli e fanno capire quanto sia importante il contributo che ricevono, ma anche l’importanza delle relazioni che nel tempo si sono stabilite. Questo lo si comprende durante gli incontri: un padre che, nel corso della visita di fronte alla figlia, piange perché ha perso il lavoro, non è in grado di mantenere la famiglia e sta pensando di vendere la casa consapevole che comunque senza un lavoro sarà difficile vivere; una madre che fa uscire il figlio dalla stanza e piangendo ci racconta che il padre oltre a non lavorare è diventato violento e il figlio vuole vestiti nuovi come altri suoi coetanei; una madre preoccupata perché sente il figlio fare discorsi strani, isolarsi dalla famiglia. Queste situazioni sono molto diffuse e per cultura e dignità i palestinesi difficilmente ne rendono partecipe altre persone. Anche per questo pensiamo che Gazzella con la sua attività è riuscita a creare concrete relazioni, senza nascondere quanto ci si senta impotenti e quanto sia difficile affrontarle sia sul piano umano che emotivo. Certo le problematiche descritte possono essere comuni in tante famiglie, anche italiane, ma queste situazioni vanno calate in una realtà come quella di Gaza dove la popolazione vive da 10 anni sotto occupazione, in condizioni economiche impossibili, senza possibilità di movimento, con legittime aspettative di avere un’istruzione, di mantenere dignitosamente la famiglia, di formare una famiglia, e quindi si comprende che anche nella frustrazione, sofferenza e disperazione i Palestinesi resistono. È una società solida e determinata che sebbene negli ultimi 10 anni abbia subito 4 guerre d’aggressione, con migliaia di morti e feriti, distruzione, ha mantenuto saldi i valori del sumud. Sumud è una parola dal significato chiaro: “continuare a vivere nella propria terra, ridere, godersi la vita, innamorarsi, sposarsi, avere figli. Sumud significa anche continuare gli studi all’estero, per ottenere un diploma, e tornare qui. Difendere i valori è sumud. Costruire una casa, una bella casa, e pensare di rimanere anche quando la stanno demolendo e poi costruirne una nuova più bella della precedente – anche questo è sumud. Il fatto che io sia qui è sumud. Affermare che sei un essere umano e difendere la tua umanità è sumud.”

Quotidianeità e situazione economica. Molte famiglie dei nostri bambini si sono viste tagliare il contributo economico del governo di Gaza, questo a causa della politica internazionale che ha isolato Hamas bloccando gli aiuti economici, anche dei paesi arabi come il Qatar. Dal canto suo l’A.N.P. ha aggravato l’assedio limitando l’invio di farmaci per gli ospedali pubblici, chiedendo ad Israele di tagliare la fornitura di energia elettrica alla striscia di Gaza e questo per esercitare pressioni su Hamas; queste situazioni dovrebbero risolversi con l’applicazione degli accordi raggiunti con la “riconciliazione” tra Fatah e Hamas. A Gaza intanto si continua a sopravvivere con 3/4 ore di elettricità ogni 12/16 ore e non c’è una schedula precisa della erogazione di energia nelle diverse aree della striscia; pensi di avere elettricità dopo 12/16 ore e invece arriva anche dopo 20 ore, magari nel cuore della notte dalle 2 alle 5 di mattina e quindi si fa il bucato, si stira…… Chi può si è acquistato un piccolo generatore o in casa hanno batterie con luci led, mentre i generatori degli ospedali, degli uffici pubblici, delle ONG funzionano per almeno 18 ore al giorno. Il problema di inquinamento dell’aria a Gaza è di forte impatto sulla salute dei cittadini e sono in aumento le malattie respiratorie, allergie, forme gravi di asma, soprattutto per i bambini. La mancanza di elettricità è una condanna, una punizione collettiva per 2 milioni di palestinesi che non sanno come conservare il cibo, come riscaldarsi, che non hanno accesso all’acqua potabile, che sono a contatto con sostanze inquinate e contaminate Negli ospedali i medici hanno difficoltà a fare interventi che in alcuni casi sono sospesi. La mancanza di risorse economiche ha colpito anche le ONG internazionali che operano nella striscia di Gaza, tante famiglie non ricevono più aiuti o li hanno ridotti. Molte famiglie dei nostri bambini prendono aiuti in generi alimentari dall’Unrwa o dalle ONG. Il pacco alimentare “food basket” dell’Unrwa viene distribuito ogni 3 mesi e la quantità dei prodotti varia a seconda della composizione familiare. Per una famiglia di 10 componenti, 8 figli e i genitori: 10 kg zucchero, 50 kg farina, 2 kg ceci, 2 kg, hummus, 30 scatolette pesce, 5 kg riso. Le famiglie riferiscono che in passato il pacco alimentare conteneva anche latte in polvere. Altre famiglie ricevono, settimanalmente, il pacco alimentare fornito dalla ONG Oxfama contenente: formaggi, latte, yougurt, uova, riso, ceci, hummus e farina. Per tante famiglie è impossibile accedere all’acquisto di cibo per integrare quanto ONG e Agenzia Onu forniscono. È evidente che siamo in presenza di un grave problema di malnutrizione che colpisce in particolare i bambini, determinando problemi di anemia, rendendoli maggiormente predisposti a contrarre malattie e in generale con significativi ritardi della crescita.

Riconciliazione” Fatah-Hamas. Uno spiraglio di luce per i palestinesi potrebbe venire dagli accordi, “riconciliazione”, siglati al Cairo lo scorso 15 ottobre tra Fatah e Hamas. I due partiti hanno raggiunto una prima intesa dopo dieci anni di divisioni e scontri, anche armati, quali: il governo congiunto di tutti i territori, il ritorno dei funzionari dell’ A.N.P. a Gaza, il passaggio del controllo del posto di frontiera di Rafah e Erez all’A.N.P. ed elezioni, autunno 2018, sia per il consiglio legislativo che per la Presidenza dell’A.N.P.. Un accordo che tuttavia non ha sciolto il nodo del disarmo del braccio militare di Hamas (Izzidin al-Qassam) ie l’assunzione da parte dell’A.N.P. dei circa 40.000 dipendenti pubblici di Hamas. Lavoratori di cui Hamas in questi 10 anni ha avuto bisogno per erogare i servizi pubblici educativi, sanitari, sociali stante che dal 2007 l’A.N.P. ha tenuto a casa i suoi dipendenti, seppur stipendiati. Degli accordi presi ad oggi si è concretizzato solo il passaggio del controllo sui border di Rafah e Erez ed è iniziata la registrazione dei circa 40.000 dipendenti pubblici di Hamas, per i quali A.N.P. dovrà decidere quanti tenere e dove collocarli.

Il border di Rafah, passato ufficialmente sotto il controllo dell’A.N.P. dallo scorso I novembre, è stato aperto il 16 novembre. Migliaia di palestinesi, da mesi regolarmente registrati per l’uscita, si sono presentati all’ufficio pubblico allestito a Khan Younis presso la protezione civile. Nella sola giornata di sabato 18 novembre dieci pullman hanno trasportato circa 700 persone a Rafah. Nei giorni successivi le cose sono cambiate; le ore di attesa a khan Younis diventavano interminabili e nessun pullman partiva. È emerso che da Rafah stava uscendo chi, senza permesso e registrazione, pagava dai 2.500 ai 4.000 dollari a testa. Come risposta alle legittime proteste dei palestinesi in attesa e regolarmente registrati, il border di Rafah è stato chiuso! La prevista ri-apertura del border è stata vanificata dall’attacco del 24 novembre alla moschea di Bir El Abd in Sinai. Rafah è tuttora chiuso e migliaia di palestinesi in attesa di uscire per cure mediche, per ragioni di studio, lavoro o familiari restano chiusi nella striscia di Gaza. Se tanti palestinesi si aggrappano ancora alla speranza, tanti altri sono sfiduciati perché dicono che nel corso degli anni hanno ricevuto tante promesse, ma nessuna mantenuta.

Durante la permanenza nella striscia di Gaza ho anche continuato l’attività di monitoraggio delle attività e necessità dello Shifa Hosiptal. La cronica mancanza di farmaci per la prevenzione e cura è un problema che va sempre più peggiorando. Le sfide quotidiane che il medico si trova a dover affrontare sono molteplici, compresa la mancanza di energia elettrica che pone severe restrizioni sulle modalità di intervenire per la cura dei pazienti. I casi di tumore sono in aumento, così come le malattie respiratorie, mentre condizioni ambientali quali contaminazione e inquinamento mettono a rischio la nascita di bimbi sani, esseri umani puniti prima ancora di nascere. In allegato al report del viaggio l’appello del Direttore dello Shifa Hospital di Gaza City, che vi chiediamo di sostenere inviando un contributo a Gazzella, specificando “contributo Shifa Hospital”.

Mentre scrivo il report la situazione in Palestina sta esplodendo a causa della dichiarazione del presidente USA Trump: “riconoscere unilateralmente Gerusalemme capitale di Israele e trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme”. Ma prima della dichiarazione di Trump quali erano le mire di Israele su Gerusalemme e Palestina? Per il 2017 il governo israeliano ha stanziato un budget di circa 2 miliardi di dollari per l’estensione degli insediamenti, ma non solo; altri circa 190 milioni di dollari per le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell’occupazione delle due parti della Città Santa. Il progetto di estensione israeliano prevede la costruzione di 11.000 nuove unità abitative e interventi di interesse economico/commerciale e turistico sulla città. Per attuare questi piani è necessario che Israele si appropri di altra terra di diritto dei palestinesi, anche attraverso la demolizione di abitazioni. Il piano di ridisegnare e giudaizzare la Città Santa, è finalizzato alla politica israeliana che vuole “Israele cuore della nazione ebraica e Gerusalemme è Israele ”. Va ricordato che la risoluzione ONU 181 specifica che la città di Gerusalemme dovrà essere instaurata come “corpus separatum” sotto un regime speciale internazionale e dovrà essere amministrata dalle Nazioni Unite. Altre successive e numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU hanno denunciato o dichiarato non validi i tentativi di Israele di controllare e/o unificare la città di Gerusalemme. L’Onu ha condannato la decisione di Trump su Gerusalemme, e gli ambasciatori di Francia, Regno Unito, Italia, Svezia e Germania presso l’ONU hanno dichiarato “il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme capitale non è conforme alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza”. Dal canto suo l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso l’Onu, Nikki Haley, parla di “ostilità contro Israele”, mentre il presidente dell’A.N.P. Abu Mazen dichiara: “rinnoviamo il nostro rifiuto della posizione americana su Gerusalemme. Gli Usa non sono più qualificati per occuparsi del processo di pace”. Gerusalemme è la città contesa e violata; persino nei testi scolastici, adottati in alcune scuole italiane, Gerusalemme è già indicata quale capitale di Israele. Un testo scolastico non è solo “nozioni e saperi”, ma riguarda anche la formazione e lo sviluppo dell’individuo sul piano intellettuale e morale. Facendo pertanto riferimento alle risoluzioni ONU va detto che chi si assume la responsabilità di scrivere un testo destinato alle scuole, non dovrebbe essere di parte!

Ma sulla tensione in Palestina, fanno da cornice alcuni avvenimenti che meritano attenzione: migliaia di israeliani in questi ultimi mesi si sono ritrovati nel centro di Tel Aviv in una marcia di protesta contro i ripetuti episodi di corruzione in cui Netanyahu ed esponenti del suo governo sono stati coinvolti o comunque sottoposti a inchieste. Il presidente Trump corre il rischio di vedersi scaricare dai Repubblicani con riferimento ai diversi “scandali” che lo vedono coinvolto. A dicembre 2016 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato la risoluzione, n. 2334, che riafferma che gli insediamenti israeliani nei Territori Palestinesi Occupati “non hanno alcuna validità legale e sono una palese violazione della legge internazionale” e chiede a Israele di “cessare immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento”. Questa risoluzione arriva dopo la richiesta del Comitato dei Diritti Umani dell’ONU (UNHRC) di “produrre una banca dati di tutte le imprese commerciali che direttamente e indirettamente hanno reso possibile, agevolato e lucrato dalla costruzione e crescita degli insediamenti”. La banca dati doveva essere pubblica a dicembre 2017. I governi israeliano e statunitense stanno facendo il possibile per non rendere pubblici i dati delle imprese/società locali e internazionali che comprendono banche, società della sicurezza, supermercati, catene di ristoranti, linee di trasporto e imprese multinazionali che forniscono servizi e attrezzature per costruire e per provvedere alla manutenzione degli insediamenti. Se resa pubblica la banca dati si potrebbe ipotizzare per le imprese/società la “partecipazione” ad azioni volte alla violazioni dei diritti umani nei confronti dei palestinesi.

In questo scenario di corruzione, di richieste di incriminazione del premier Netanyahu, di delegittimazione delle politiche israeliane possiamo attenderci di tutto!

Il nostro sostegno al popolo palestinese, per l’autodeterminazione, per il raggiungimento della Pace, passa attraverso la giustizia per tutti i crimini commessi contro la popolazione.

G.

13.12.2017

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APPELLO DA GAZA

 

Spero che questa mio messaggio trovi gli amici di Gazzella in buona salute.

Shifa Hospital*, l’ospedale pubblico più grande della Striscia di Gaza, ha una carenza del 40% dei farmaci necessari per la cura dei pazienti a causa dei mancati rifornimenti e le interruzioni determinate dalle chiusure dei confini. In particolare c’è scarsità di farmaci destinati ai pazienti sotto trattamento con “salvavita” ( trapiantati di organi, malati oncologici, emodializzati). Inoltre si lamenta l’assenza di protesi e dispositivi per eseguire e portare a termine interventi chirurgici. Negli ultimi giorni sono ripresi gli attacchi contro la popolazione di Gaza e ogni giorno riceviamo feriti, persone con attacchi di panico, in particolare bambini. Noi tutti ci auguriamo che la situazione non precipiti perché sul piano sanitario non saremmo in grado di far fronte all’emergenza.

Come per il passato Vi chiediamo di aiutarci nell’acquisto di farmaci, protesi e attrezzature.

Nella speranza di non essere lasciati soli, ringraziamo per l’aiuto che vorrete accordare.

Dr. Medhat Abbas

General Director Shifa Hospital Gaza

Dicembre 2017

*Shifa Hospital ha una capienza di 700 posti letto. Riceve 500.000 pazienti all’anno e il reparto di maternità vede la nascita di 50/60 bambini al giorno.

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