Diario di Gaza, 9-16 maggio 2016

Pubblicato il 15 giugno 2016 da Gazzella
 

Da Gaza, come posso e riesco, diario minimo per gli amici e le amiche.

9 MAGGIO 2016

Questo è il secondo giorno a Gaza e siamo in piena attività. A Gerusalemme sabato 7 abbiamo gironzolato per la città vecchia e fatto shopping. La sera a cena da un amico del consolato con un pezzo di cooperazione italiana: direttore, addetta stampa e due altri. C’era anche una giovane italiana che si occupa di advocacy per Oxfam. Abbiamo parlato dell’ultimo scempio israeliano (ma è tra i tanti): la questione della valle di Kremisan (dei frati francescani vi fanno dell’ottimo vino bianco che ho bevuto) per farci la discarica di Gilo, l’insediamento israeliano illegale.

Pare che i francescani abbiano perso la causa al massimo livello (la corte suprema) per cavilli legali.

Effettivamente non c’è limite. Consideravamo con Sancia che se si potesse mettere in fila gli abusi e la costante privazione di diritti effettuata dagli israeliani in questi ultimi 22 anni (dopo gli accordi di Oslo), si potrebbe fare il giro del mondo. Passo dopo passo, con determinazione, strategia ed arroganza.

Serata simpatica e poi Gaza. Prima di partire ne abbiamo parlato con tutti e visto internet. Quello che è successo a Gaza nei giorni precedenti non era (ancora) niente di serio. Se dovesse succedere qualcosa si parla del Ramadam. Speriamo di no, perché Gaza è ancora molto distrutta. Comunque noi partiremo prima.

E poi Gaza. Da Gerusalemme siamo andate in macchina con Meri che ci ha fatto ottenere il visto israeliano, e poi il solito Eretz. Senza dircelo, aveva in valigia un drone con telecamenta (quello che piacerebbe a mio nipote). Ovviamente è stato aperto (con molta invidia dei poliziotti…). dovrebbe servire ad una cooperativa di cameramen per fare riprese aeree sulle zone ancora distrutte. Sembrava che il capitano di Hamas volesse qualche “mancetta”, poi con una telefonata si è risolto tutto. Effettivamente in teoria ci sarebbe la dogana (se Gaza fosse uno stato) e allora che che fare?

Gli israeliani l’hanno fatta passare (mai se lo avessero saputo) e quindi non si poteva accettare uno stop di Hamas. Risolto.

E poi AISHA, questa stupenda associazione di donne, numerose, sorridenti, disponibili. Abbiamo lavorato sul progetto, ci siamo raccontate quanto era successo in questi mesi, e cominciato a discutere dettagli del progetto, microcredito incluso. E poi da MARIAM. Mariam domenica si sposa, ed è in permesso matrimoniale. Abbiamo portato in regalo dei piatti in vetro fatti da un artigiano per i mille piatti palestinesi. E chiacchierato anche con lei, sul matrimonio, sul diritto matrimoniale, sui festeggiamenti, sul vestito, acconciatura e trucco. Era raggiante.

Al pranzo di nozze avrà 200 invitati (solo i parenti) e alla festa della sera, dove lei si mostrerà in tutta bellezza, calcola almeno 1000 donne. Verrà servita solo acqua. Almeno non ci si ubriaca.

Ritorniamo in albergo che ha aperto solo per noi e dove abbiamo dovuto negoziare le ore di accensione del generatore di corrente quando manca la corrente che viene erogata ad 8 ore alterne (di giorno siamo via, spesso anche la sera, quindi abbiamo chiesto corrente dalle 7 alle 8.30 quando usciamo (senza corrente non abbiamo internet) e la sera, se siamo in albergo dalle 19 alle 22.30 e poi nanna. Ovviamente salvo le sere nelle quali capiterà che ci sia la corrente. Non dovremo mai dimenticare di caricare tutti gli apparecchi altrimenti non si riesce nemmeno a scrivere.

Insomma un po’ di condivisione della vera vita di Gaza di chi non si può permettere il generatore familiare e non ha quello condominiale.

Cena al ristorante di pesce, con Meri, un consulente dell’OMS per compiere una valutazione sulla situazione sanitaria di Gaza e della West Bank (italiano) e un’altra italiana responsabile della cooperazione svizzera, dotata di auto blindata.

E poi la meritata nanna, al buio. Tra le lenzuola mi sono addormentata pensando come può essere normale la vita a Gaza in un posto che normale non è, anzi assurdo, privato di tutto: di spazio, di mobilità, di diritti, di futuro che viene ricreato nella programmazione della propria vita, nella tinteggiatura di una stanza, di un figlio avuto dopo 8 e magari down, nella ricostruzione della casa, nel progetto di mandare un figlio o figlia all’università sperando in un lavoro. Insomma un futuro incerto, che si cerca di tenere nelle proprie mani ma non sempre ci si riesce.

LUNEDÌ 9 MAGGIO

Oggi 8,30 da AISHA. Dobbiamo discutere alcuni dettagli di microcredito e soprattutto come riportare alcuni punti critici nel midterm report. E poi field visit a donne che faranno parte del microcredito. Una prima sorpresa: il computer con cui sto scrivendo, salvo un miracolo fatto da un giovane ingegnere si fermerà tra poco. Il caricatore è rotto. Ci provano a ripararlo, ma altrimenti queste saranno le ultime righe e poi il sonno.

Ho copiato tutto su una penna. Spedisco questo mini diario e poi andrò sui computer degli altri. Oppure domani riavrò il caricatore e jalla!

Field visit. Tre donne: una di 28 anni 4 figli, una con un primo marito e tre con un altro. Separati. Drogato, spacciatore, padre, madre e fratello in carcere. Lei ha aperto con una donazione di un’Associazione di donne svedesi un salone di bellezza. Faccia, cappelli, depilazione ecc. Conta di mantenersi da sola. Con il microcredito aumenterà le attrezzature. Riceverà 700 euro che restituirà a cominciare da 6 mesi per 20 mesi. Circa 35 euro al mese con possibilità di una rinegoziazione al ribasso per un periodo maggiore. I soldi restituiti serviranno per il microcredito di un’altra donna. Una sorta di catena di sant’Antonio. Oggi a lungo abbiamo discusso sulla creazione di un trusteee committee (una specie di comitato dei garanti) formato dalle donne stesse che usufruiscono del microcredito. Così si spezza anche l’idea di un prestito bancario, quand’anche ad interessi zero.

La seconda donna, 38 anni, madre di 6 figli e uno in arrivo. Ricama, lavora a maglia e cuce su prenotazione. La casa è migliore, due figli all’università e gli altri a scuola.

La terza vive a Beit Hanoun a nord est, in una specie di struttura rimediata con lamiere, stoffe e sacchi di riso vuoti, dopo l’abbattimento della casa. Cucina in un angolo del giardino, stanza da letto in un vano di lamiere, un cortile dove prima era la casa e un diwan con lamiera e stoffa sulla testa e aperta. Solo lo stipite di una porta è rimasto in piedi, senza porta e lo tengono per ricordo. 9 figli, una di 5 anni dawn, molto peggiorata per la paura durante il bombardamento della casa. E ritrosa, si nasconde e la sua disabilità non è aiutata da un evento cosi’ drammatico. Marito, disoccupato, ipovedente e con disordini mentali. È una donna forte, capace, regge la famiglia, fa di tutto: detersivi da vendere (li fa a mano, ma sono tutti meno che biologici…) shampoo, balsami ecc. solo che li vende ai vicini che chiedono credito.

Più che di microcredito avrebbe bisogno di un regalo. È comunque una donna particolare, con il sorriso sulle labbra, molta forza, sarebbe – in altri contesti – un vero leader. Ma è nata in una baracca, e per di più a Gaza. Ma ce la farà.

Questo è il lavoro che fa AISHA, intercetta situazioni difficili, accompagna le donne e dà loro forza e capacità per creare o incrementare il loro reddito e in qualche modo, impostare in modo nuovo la loro vita.

Discutiamo di queste donne al ritorno da Beit Hanoun con la psicologa.

Al centro ci aspettano: Reem fa il compleanno (42 anni) ed hanno preparato un pranzo delizioso. Siamo almeno in 15 con un uomo solo (il presidente!). Pollo, Moluhia, verdure varie, riso e pane arabo.

E TORTA!!!

Ed eccomi qui ora al centro italiano a guardare la batteria che si abbassa e sperare di fare in tempo di mandare queste prime due giornate agli amici prima che il computer si spenga.

Da qui poi visita alle 19 all’YMCA per un progetto per far venire 8-10 bambini da Gaza in Italia per un corso di vela (inseguendo la normalità….!) e poi forse cena con pasta sempre al Centro Italiano con Meri.

E domani è un altro giorno: focus group meeting, financial session, visite a bambini disabili. Tocca resistere.

A domani se trovo un altro computer.

Gianna

13 MAGGIO

Ed eccoci, e non so nemmeno come, già è venerdì 13 maggio. È mattina, siamo libere (non si lavora) e cosi’ possiamo dedicarci alle cose da scrivere.

Alle spalle tre giornate intense, dalle 8 al 22 senza sosta se non delle mezze ore. Ma piene ed interessanti.

Ho dovuto verificare gli appunti per ricostruirle: il ricordo si addensa in un blocco unico. Molti gli appunti e le cose da dire. Molte sensazioni in testa. Molte le cose viste. Il fatto che si incontrino delle “ordinary women” e non leader e politiche, che si entri in ogni tipo di casa, ci avvicina alla realtà quotidiana della gente, al di là di numeri e conversazioni con gli intellettuali (maschi e femmine) di Gaza.

Cerco di andare con ordine: il 9 avevo finito la giornata con la scrittura del diario e spedizione dal Centro italiano. Stiamo cercando sempre dei luoghi dove ci sia internet. La situazione della fornitura elettrica è peggiorata: siamo a 6 ore di corrente ogni 12 senza. Così si campa solo se si sta in un palazzo dove c’è il generatore. Anche in albergo ci centellinano il generatore perché l’albergo era chiuso, l’hanno aperto solo per noi. Nella stanza dove si stava “piove” in bagno così ci hanno offerto due stanze ma volevano di più. Abbiamo negoziato e la negoziazione è stata sui tempi del generatore. Di fatto stiamo fuori tutto il giorno e quando si torna o c’è la corrente o accendono. Cerchiamo ovviamente di essere responsabili. Il fatto è che AISHA mi ha prestato un computer che non ha molta autonomia, quindi se devo scrivere devo avere la corrente.

Comincio:

MARTEDI’ 10 MAGGIO

Oggi ci dividiamo. Sancia comincia a vedere i bambini disabili (ne vedrà 24 in una giornata, un numero incredibile e tornerà in albergo, esausta, solo alle 19 di sera) io sarò tutto il giorno ad AISHA, per discutere con Reem (Mariam, la project manager è in permesso matrimoniale) sul microcredito, ho un incontro con le donne del “focus group” selezionate per il microcredito e poi spero di riuscire a raggiungere Sancia. Ma i piani non sempre si realizzano.

Prima sorpresa. Le donne temono il microcredito, non pare abbiamo chiaro le possibilità di guadagno della loro attività e quindi temono di non riuscire a restituire I soldi ricevuti e delle 14 che incontro ben 5 o 6 dichiarano che preferirebbero avere di meno ma a fondo perduto. E si rivolgono a me per averlo. Io chiarisco che non sono io che decido, ma AISHA con loro. La discussione avviene tra me e la facilitatrice del gruppo e loro. Molte preferirebbero una restituzione più dilazionata nel tempo (più di 20 mesi) ma in generale non sanno rispondere di quanto più o meno pensano di riuscire a guadagnare a settimana con la loro nuova attività. Ciascuna donna si presenta, e dice chi è, situazione familiare, età, numero di figli, ecc. Non poche sono divorziate (di solito su iniziativa del marito che sposa un’altra), alcune separate (è qualcosa che chiederò di capire meglio, perché ci sono delle differenze nel diritto di famiglia), altre vedove con 5-8 figli. Tutte se hanno marito è disoccupato, o drogato, o con difficoltà psicologiche. Insomma il quadro che emerge è di povertà ‘urbana’ senza risorse di orti o altro. Molte hanno l’assegno di povertà di famiglia, le divorziate vivono con la famiglia di origine e lo stesso le separate.

Insomma tocco con mano la vera povertà di Gaza. Parlando con loro cerco di dire che se ricevono un dono lo consumano per sopravvivere e poi hanno bisogno di un altro e poi di un altro, ecc., se intraprendono un’attività economica anche se poco si abituano a prodursi un reddito che le emancipa dalla dipendenza (e miseria) economica. Ma mentre dico queste cose a cui credo, mi sembra tutto molto teorico, di fronte a fame e povertà. Fame e povertà, non si discutono. Qualcuna ancora teme di perdere l’assegno di povertà se intraprendono un’attività economica (l’assegno è di 100 dollari al mese). Insomma, a parte tre o quattro, le altre sono timorose e con dubbi. La conversazione si protrae per circa due ore e coinvolge ad un certo punto anche l’interprete, alla quale ogni tanto devo chiedere di dirmi cosa dicono le donne, perché anche lei interagisce con loro. Insomma una discussione sicuramente amichevole, ma franca che mi lascia la netta sensazione che il mocrocfredito che sta per partire non sarà cosi’ semplice e che forse manca ancora un percorso da fare individualmente con queste donne per aiutarle ad identificare possibili obiettivi, modi per raggiungerli, ma anche forse che il microcredito non debba essere uguale per tutte ma venga calibrato sulla attività che la donna intraprende che condiziona le sue possibilità di guadagno e restituzione (ad es. fare il ricamo si guadagna meno che facendo la sarta o la parrucchiera e ha bisogno di meno fondi per iniziare, quindi la donna può chiedere meno microcredito e perciò deve restituire meno e magari con una maggiore dilazione).

Con questi problemi in mente, dopo un pranzo meraviglioso (oltre le varie insalate, foglie di vite ripiene, zucchini e piccole melanzane ripiene di riso e carne) con tutte le donne del centro presenti, 17, in un clima allegro e amicale, nel pomeriggio abbiamo una lunga sessione con la direttrice Reem e due consulenti (maschi) economici. Lunga discussione sui temi emersi. Io ho sottolineato che non ho sentito le donne preparate individualmente sul microcredito. In effetti emerge che loro hanno tenuto delle lezioni frontali, ma non dialogato con ciascuna donna, in concreto sull’attività da intraprendere. Concordiamo che il lavoro future di uno dei consulenti (che mi è sembrato simpatico) sarà proprio di fare questo con ciascuna donna e di decider di ricalibrare anche I vari importi. Dalla discussione emerge anche che chi sta facendo il microcredito a Gaza, comunque lo fa ad interesse e non ha una impostazione egualitaria. Anche la mia idea di coinvolgere in un trustee committee le donne per la gestione dei fondi restituiti è totalmente nuova e non praticata, e in effetti anch’io ho avuto l’impressione che non tutte le donne ne sarebbero capaci. Insomma si tratta di sviluppare questo progetto tenendo conto delle condizioni delle donne, della cultura di assistenza che comunque si è sviluppata a Gaza, della povertà, dello strozzamento economico che comunque esiste. Quindi una cosa la teoria e un’altra è la realtà. Parte della discussione la mia provocazione se sia possibile far uscire le attività delle donne dal ricamo e la maglia verso alter attività: piccolo attività di trasformazione, preparazione di pasti, cura di bambini di quartiere, lavaggio e stiro, fino a corsi per camerawomen e taxidriver.

Questa riflessione dovrebbe condizionare I corsi di formazione che loro istituiscono. Ho provato a dire che per una donna semplice, che ha subito stress e violenza, il ricamo è un’attività rilassante (e terapeutica) ma non fa generare molto reddito. Insomma le tematiche discusse sono state molte, a dir la verità piu’ di prospettiva.

Scusate questo lungo monologo, ma nella giornata del 10 è stata la cosa su cui ho più riflettuto e discusso.

La donna che aveva cucinato a fine pomeriggio mi ha messo in mano una busta con degli avanzi dicendo che erano per Sancia. Sera al Centro Italiano all’Abu-Galion con Meri, Federica della cooperazione svizzera il delegato OMS con gli avanzi e delle meravigliose fragole arrivate fresche con Meri da Beit Lahya. Una serata rilassante, abbiamo parlato di tutto, del Red Carpet di giovedì a cui non possiamo mancare, dei nostri reciproci lavori e problemi. Che bello stare con gli amici italiani dopo una lunga giornata faticosa. I cooperanti (non solo italiani) qui a Gaza sono sempre meno e per Meri e Federica è una festa averci con loro.

Nanna alle 23, più o meno distrutte.

MERCOLEDÌ 11 MAGGIO

Stamani si comincia presto: appuntamento ad AISHA alle 8 (loro lavorano dalle 8 alle 15 salvo extra). Con Reem dobbiamo dire ancora alcune cose sulla parte finanziaria.

Alle 9.30 ci viene a prendere il responsabile dell’associazione HANAN che si occupa di bambini disabili. E comincia il nostro giro di sofferenze e povertà. Oggi saremo tutto il giorno a Khan Yunis e Rafah, quindi al sud. C’è chi dice che ieri dei droni hanno sorvolato l’area. Troviamo tutto super tranquillo. Il solito caos nelle strade, traffico impazzito di macchine, carretti con asino, gente e bambini che attraversano incuranti di tutto, le macchine che fanno lo slalom cercando di districarsi nel casino più totale. Qualche cartello qui e là inneggiante a soldati armati di fucili e razzi, molte foto di martiri. Welcome to Rafah!

Come al solito, trovare le case dei bambini non è semplice, bisogna districarsi tra campi profughi, case malandate, gente trasferita per distruzione di case, insomma già questo è lavoro. Oggi dovremmo vedere 17 bambini tra Rafah e Khan Younis e 5 a Gaza. Causa le distanze e il tempo perso per trovare le case, alla fine ne vedremo i 17 del Sud e solo uno di Gaza.

Tra questi un bambino era morto, ma da 15 gg (dicono sempre così, il controllo non avviene tutti i mesi e solo con una visita si verifica che il bimbo non c’è più, ovviamente solo da 15 gg. Ma c’è in queste famiglie una tale miseria che va bene così. Vediamo di tutto: bambini senza arti, con schiene bifide, paralizzati, spastici da parto o da parto ritardato. Insomma un girone dell’infermo. Tutti mediamente molto, troppo poveri. Solo dopo aver finite a Sud, a Nuseirat ci concediamo un pasto. Sono le 17 del pomeriggio, non ci vedo dalla fame, ma ho visto cose peggiori che non mi permetto di dire che ho fame. Mi sento in colpa. E poi ho scoperto che dopo un po’ la fame si attenua, non si sente più. Va bene così. Mangiamo un po’ dopo le 5, dei meravigliosi kebab, in una macelleria-kebbabara nel mezzo del mercato, ancora pieno di gente di Nuseirat.

Alle 19 abbiamo una cena con il board di AISHA e quindi, dopo la pausa di un’ora ci rimane il tempo per un bambino. Domani è un altro giorno di visite. Ne avremo 12 nel governatorato centrale (14) al quale si aggiungono gli altri 4 di Gaza. Calcolando il tempo che si risparmia non dovendo andare a sud, ce la potremmo fare. E poi possiamo cominciare prima.

Albergo. Doccia. Cena in un ottimo ristorante (Il faro) sul mare. Ci siamo già state, ma oggi mi stride con quello che ho visto durante il giorno. Sia perché ho pranzato alle 17 sia per il fastidio che provo a stare in quel posto dopo una giornata passata tra baracche e miseria, non ho fame. Convinco Sancia a fare “ai mezzi” di un piatto. Ottima scelta. Ma la compagnia è simpatica e interessante. Il board di AISHA è composto da 4 donne e 3 uomini. C’è una sindacalista senza velo, una psicologa del Palestiniam Center per I diritti umani che fa training con le donne, venuta con il marito, consulente UNRWA per le scuole, e un’altra psicologa che lavora al Palestinian Community for Menthal Health Project di Gaza (centro di eccellenza), un avvocato, un economista del Centro per I diritti umani di Gaza ed Elias, cristiano ortodosso, Gazawi puro. Non tutti conoscono l’inglese. Non c’è molto modo di approfondire la conversazione. Cena simpatica ma non particolarmente interessante.

E poi nanna, ultra meritata. Ginocchio ed anca doloranti risolti con un’aspirina.

GIOVEDÌ 12 MAGGIO

Ed eccoci di nuovo in giro per le famiglie. Un altro bambino morto, da 15 giorni, di cuore. Ha avuto una crisi grave, Rafah era chiusa, senza via d’uscita da Eretz. Aveva 7 anni. Famiglia poverissima, il padre prova a dire che ha il secondo figlio idrocefalo, ma è visibilmente non vero. Sta benissimo ed è all’università. Ma la povertà è reale. Otto figli, padre senza lavoro, nel campo profughi di Nuseirat.

Stessi incontri, stessa miseria, salvo alcune eccezioni: è la terza volta in tre anni che visito un ragazzo dalla schiena bifida figlio di un beduino. Ha la prima moglie e la seconda era la moglie del fratello morto che lui ha sposato. Il figlio è della prima moglie. Vivono nel loro terreno, splendido, Con Ulivi, asini, cammelli, orto, arnie per il miele. La cammella la tiene per il figlio disabile, così pure il miele che ci fa assaggiare (l’arnia sta in un campo di ulivi). Stupendo. Seduti sotto un tetto di frasche, all’aperto, è un piccolo paradiso, si sente il frusciare degli insetti e degli uccelli. Gli chiedo se sia stato bombardato, dice di no. È quello che tre anni fa ci aveva invitato a pranzo. Ci salutiamo da amici.

Pranzo a un’ora decente (13.30) I soliti kebab proprio buoni. E poi gli ultimi 5. Ritorno in albergo alle 17. Lavoro sulle foto dei bambini, loro classificazione e si fanno le 6. Ci vestiamo per il red carpet. Con Federica, macchina blindata e il consulente OMS, Andiamo al teatro. Una meraviglia. Allegria, gente, ragazzi e ragazze, alcune senza velo (finalmente!). Le foto sono d’obbligo e attiriamo con la nostra allegria molti fotografi e cineoperatori che ci riprendono: dà un sapore internazionale all’evento. Motto del Festival: Chiediamo di respirare! Ecco, il desiderio di normalità, di libertà di aperture anima questo Festival. Il film inaugurale è ‘IDOL’, bel film in programmazione anche a Roma (andate a vederlo perché sparirà presto. Ecco penso, questa è una Gaza possibile. Una volta tanto non si parla di miseria (che c’è) di oppressione (che c’è) di fondamentalismo (che c’è) di occupazione (che c’è ed è pesante) ma qui ci sono moltissimi giovani che sono felici di partecipare a questo evento. A dir la verità è il secondo. L’hanno scorso avevano organizzato il Red carpet a Khan Younis tra le materie. Ho ripreso quando l’hanno fatto rivedere: veramente impressionante. Quest’anno lo volevano fare al porto, come luogo simbolo di chiusura, ma Hamas per motivi di sicurezza l’ha vietato. Così hanno ripiegato su un teatro, ma, in risposta vi hanno portato una barca! E steso il red carpet ad un certo punto fino all’altro lato della strada. In sala un’atmosfera elettrica. Piena di gente. Noi avevamo dei posti riservati nelle prime file. Un paio erano stati già presi, ma amichevolmente abbiamo negoziato e portato delle altre sedie. E poi le foto sulla “Monté du marche” Gazawi. I miei amici del cinema erano tutti a Cannes, ho mandato per whatsup le foto, mi hanno chiesto un pezzo di cronaca. In effetti c’è un black out di informazione su questo evento che proviene dal cuore di Gaza che vuole la fine dell’occupazione, dei bombardamenti e il rafforzamento della società civile.

Sul mio sito fb ci sono delle foto, alcuni l’hanno ricevute via whatsup. Ora sono in sospensione di corrente, se finisce, inserisco tutte le foto su fb. Comunque alla mail allegherò una foto.

Gli amici italiani proponevano una cena di pasta o un gelato. Eravamo troppo stanche per entrambe e ci siamo fatte lasciare all’albergo. Ho una gamba dolorante ed è meglio risparmiarsi.

VENERDÌ 13 MAGGIO

Oggi colazione alle 8 perché è festa. Ho scritto queste pagine con il rumore degli uccelli e dei bambini, in basso sulla spiaggia. La spiaggia è disseminate di famiglie per il picnic del venerdì. È questa la Gaza che vorrei: più rilassata, più normale, meno povera.

A pranzo saremo al Centro italiano per una pasta. Cercheremo della birra analcolica e faremo festa. E poi il pomeriggio passeggiata sulla spiaggia, foto, magari un succo di mango e cena con tarallucci e parmigiano per cena. E lavoro. Naturalmente.

Sono le 12.44 e un muezzin ha cominciato a chiamare la preghiera: siamo a Gaza, ragazzi.

POMERIGGIO 14 MAGGIO 2016

Oggi è sabato ed è ancora festivo.

Sto prendendo le abitudini di Gaza, scrivo quando ho la corrente o per il turno di elettricità: ora qui a Gaza siamo con 6 ore con elettricità e 12 senza. Non c’è limite al peggio. Di fatto, salvo i poverissimi, che sono molti, le famiglie sono obbligate a comperarsi un gruppo elettrogeno: non si può stare per 12 ore senza elettricità per il frigo. In questa rotazione la luce capita dalle 12 di notte alle 6 di mattina, e poi di nuovo dalle 6 di sera alle 12 di notte. Il giorno dopo da mezzogiorno alle sei e poi dalle sei di mattina alle 12. Ci fai poco.

Ora siamo a gruppo elettrogeno perché dovevo mandare un articolo a Cannes per il red Carpet e Sancia doveva spedire le notizie sui bambini visitati e quindi abbiamo chiesto 2 ore di gruppo elettrogeno. Di solito ce la siamo cavata con la corrente del generatore o di AISHA o del Centro Italiano (Meri)

Insomma solita Gaza, solita vita. Ma in questi giorni c’è il red carpet e il mare che brulica di famiglie. Let’s us breathe! Lasciateci respirare!

Ieri, dopo aver spedito l’altro diario abbiamo fatto una passeggiata al porto e un pranzo con spaghetti ajo-ojo al Centro italiano (cominciato alle 15, orario di Gaza). Poi, mentre loro andavano dai cammelli, noi siamo andate in albergo per lavorare. Avevamo una cena con Ahmad, il capo dell’associazione dei bambini disabili. Dovevamo discutere varie questioni, tra l’altro che forse è il caso di togliere dei “bambini cresciuti” che ormai hanno superato i 20 anni ed inserire dei bambini “veri” che non mancano a Gaza.

Stamane con Federica e Ambrogio siamo andati nel negozio (che ha aperto per noi) di un antiquario (un parolone) che vende oggetti di rame ed ottone. Poi visita all’albergo Al Dira. Antico e bell’albergo, vicino al nostro. Lì una note costa 120 dollari. Sancia ha detto che una volta pagherà lei una note lì. Con il progetto non ce lo possiamo permettere, ma per una notte possiamo fare una pazzia. Magari con sconto. Come vedete vivere normalmente a Gaza e gioire di piccole cose, anche stupide è possibile. Passiamo dalla disperazione alla vista delle famiglie sulla spiaggia, al festival e allo shopping di antiquariato.

Pranzo in albergo perché non ce la facciamo più di cibo abbondante. Io ho già rinunciato all’ovetto mattutino: troppo. Sancia resiste.

Tra poco superiamo le due ore di gruppo elettrogeno e quindi mi dovrò fermare, anche perché alle 19 abbiamo un appuntamento all’YMCA per il progetto di portare dei bambini in Italia a fare un corso di vela. Anche questa è normalità.

Domani si lavora di nuovo e si chiude il cerchio più o meno per tutto. La sera il matrimonio di Mariam.

Lunedì le ultimissime cose e poi Roma.

A domani o forse a lunedì mattina.

Gianna

LUNEDÌ 16 MAGGIO 20156

Ed eccoci davvero a lunedì mattina. Ho già impacchettato tutto, manca la borsa di toilette e forse nient’altro. Nonostante i nostri acquisti ho ancora spazio in valigia: peserà meno!

Ieri l’impacchettamento mentale. Abbiamo chiuso con AISHA. Ho anche finito il report in italiano, così appena ritorno posso presentare il mid term report e chiedere i soldi. I conti sono a posto e la richiesta di pagamento anche. Insomma il lavoro questa volta lo abbiamo fatto tutto qui. Abbiamo fatto a tempo a chiudere tutto: visitati circa 60 bambini, impostato tutte le problematiche per portare 8 bambini palestinesi in Italia, discusso per una sostituzione di bambini da dare in adozione a distanza, lavorato con AISHA per una migliore messa a fuoco delle problematiche locali del microcredito e la decisione di flessibilità. Fatto shopping. Passato molte sere e pranzi con i pochi cooperanti rimasti a Gaza. Abbiamo la sensazione che loro abbiano bisogno di noi. Di relazionarsi con chi non è di Gaza, di discutere delle prospettive.

Meri fa veramente un buon lavoro a largo raggio. Di fatto, più di una cooperazione economica in senso stretto, si occupa di varie iniziative che animano i giovani disoccupati, in buona parte maschi. Dal Parcour (si scrive parkour?) specie di tecnica per saltare da un palazzo all’altro superando ostacoli (chi ha visto il film IDOL?), corsi per fare gelati, pizza, circo, animazione per bambini in ospedale (clown doctor), orti familiari, corsi di italiano. In realtà tutte iniziative che profilano una possibilità di occupazione e oltretutto hanno un profilo culturale, di fare e di non aspettare. È sempre circondata da una “nidiata” di giovani uomini, li ascolta e di fatto stabilisce relazioni che assomigliano alle nostre in una situazione relazionale di Gaza tornata ad una tradizione “inventata”. Così si è coinvolta anche nella preparazione del red carpet.

Insomma Gaza mon amour!

E ieri sera, finalmente il MATRIMONIO. Effettivamente indimenticabile. Ha tutto uno svolgimento preordinato che io avendo solo visto alcuni momenti di altri matrimoni nel mio albergo non avevo assolutamente colto.

Le ospiti (si tratta di sole donne) entrano prima e prendono posto. Da una parte le donne invitate dalla sposa e dall’altra quelle dello sposo. Cominciano poi a farsi vedere le sorelle o cognate dello sposo. Vestite come Ester Williams nei film, super truccate, senza velo, con vestiti attillati e sinuosi. Poi ad un certo punto spariscono e compongono una serie di corteo della famiglia dello sposo. Dove ci sono anche alcuni maschi di famiglia. Per un periodo danzano insieme sinuosamente con una disk music moderna araba (rock). Ad un certo punto un’altra sparizione e si forma il corteo, femminile, meno che lo sposo, della sposa che entra in trionfo, sorridente con i battimani di tutti. Per 10 minuti sposa e sposo danza insieme facendosi le riverenze ad una distanza di sicurezza. Trafiggendosi con gli occhi. Dopo questo momento, prendono posto in una sorta di divano da Paolina borghese e cominciano a ballare le donne della famiglia dello sposo. Poi quelle della famiglia della sposa. Abbiamo danzato anche noi perché la sposa è stata letteralmente circondata dalle donne di AISHA e abbiamo allegramente ballato tutte insieme. Foto, riprese video in quantità. Pare, tra l’altro che avere ospiti straniere sia di buon augurio. Speriamo!

Stamani ultimo saluto a AISHA, foto, partenza per l’aeroporto e poi Roma.

Devo dire che questa volta la visita a Gaza non è stato solo attraversare un girone dell’inferno. Ma il nostro soggiorno è stato ampiamente animato da incontri affettuosi, eventi di gioia e allegria, gente normale che vuole normalità, famiglie in spiaggia, baci, abbracci, insomma “lasciateci respirare” Let’s us breathe.

Gianna

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