Relazione del viaggio a Gaza – marzo 2016

Pubblicato il 28 aprile 2016 da Gazzella
 

Gazzella – Resoconto del viaggio a Gaza – marzo 2016

Ritorno nella Striscia di Gaza dopo 3 mesi. Fa freddo in questi giorni: piogge e vento rendono più difficile la vita alle famiglie palestinesi che ancora non hanno trovato sistemazione dopo l’aggressione “margine protettivo” dell’agosto 2014. Solo una parte dei nuclei famigliari sfollati, circa 20.000, che fino a giugno 2015 erano nelle scuole Unrwa, sono riusciti a trovare sistemazione in appartamenti presi in affitto dall’Unrwa o hanno potuto ricostruire la loro casa; altri continuano ad occupare i moduli prefabbricati che diverse ONG internazionali hanno messo a disposizione. Sulle strade che collegano Rafah a Gaza City sono numerosi i camion che transitano con materiali per la ricostruzione anche se sono ancora migliaia le case ridotte in macerie in attesa di ricostruzione. L’entrata dei materiali di ricostruzione nella Striscia di Gaza è un reddito per l’industria israeliana essendo Israele ad esercitare il controllo e l’autorizzazione delle entrate nella Striscia di Gaza: dalla distruzione causata dall’operazione “margine protettivo” il mercato israeliano trae benefici economici.

I quartieri di Shejaiya, Kuzah‘a, Beit Hanun, fortemente danneggiati dai bombardamenti, lentamente riprendono il loro assetto urbano: gli abitanti raccontano che grazie agli aiuti dell’Unrwa, del Governo locale, con i finanziamenti del Qatar e con il contributo di diverse ONG è stato possibile acquistare i materiali per sistemare le case danneggiate. Alcune famiglie che vivono in affitto, ancora in attesa di poter ricostruire e tornare nella loro casa, lamentano che l’Unrwa da mesi non è più in grado di pagare gli affitti e temono di dover abbandonare le case senza avere una adeguata sistemazione. Se le infrastrutture sono state parzialmente sistemate, un piccolo segnale di lenta ripresa, l’elettricità è stata invece ridotta a fasce di 6 ore e per rifornirsi di acqua e gas bisogna ancora fare lunghe code nei punti di distribuzione.

Durante il periodo della visita nella Striscia di Gaza ci sono stati scioperi del personale sanitario e dei lavoratori pubblici. I dipendenti del governo locale denunciano che da più di un anno percepiscono solo il 40% del salario e la situazione è insostenibile. Ho incontrato il direttore dello Shifa Hospital di Gaza City che ha rappresentato le difficoltà dei lavoratori. “I dipendenti del Governo Locale”, precisa, “hanno sempre prestato servizio anche quando, per alcuni mesi, durante e subito dopo l’aggressione “margine protettivo”, hanno lavorato senza percepire alcun salario”. Era profondamente avvilito e aggiungeva: “lo sciopero del personale sanitario non è uno sciopero contro il Governo Locale che, con la chiusura dei tunnel, con l’isolamento dei paesi arabi, in primis Egitto, non può più sostenere l’economia della Striscia, ma uno sciopero contro l’occupazione e l’assedio israeliano. Paradossalmente con la nostra protesta stiamo portando un danno ai malati, che già sono in misere condizioni e questo non è accettabile”. La grave crisi sanitaria nella Striscia di Gaza non vede fine: negli ospedali persiste la carenza di medicinali, materiali e attrezzature adeguate alla prevenzione e cura. I presidi sanitari, primary health care, presenti sul territorio della Striscia di Gaza sono gestiti da diversi soggetti sanitari locali, non tutti con un buon livello di qualità prestazione servizi. Il governo di Ramallah dal 2007 ha fatto un significativo taglio alle risorse economiche destinate alla sanità per la popolazione di Gaza e alle forniture di farmaci essenziali. Dal Ministero della Salute di Gaza denunciano la mancanza di circa 150 tipi di farmaci, il 30% di quelli essenziali, antibiotici e vaccini. L’impossibilità di trattare pazienti affetti da cancro, malattie croniche del sangue, costringe i malati a tentare di uscire dalla Striscia di Gaza per trasferirsi all’estero per ricevere cure adeguate, tutto ciò non con poche difficoltà e tra l’altro solo per pochi pazienti è possibile lasciate la Striscia di Gaza. Infatti alle note difficoltà di transito per il valico di Erez, controllato da Israele, la totale chiusura di Rafah e la politica del governo egiziano hanno peggiorato la possibilità di movimento. In collaborazione con UMMI e l’Ass.ne la Talpa, la nostra Associazione ha fatto arrivare a Gaza farmaci per diabetici per il fabbisogno di 2 mesi per 100 pazienti, (valore di 5.000 euro). I farmaci sono distribuiti gratuitamente ai malati . Ancora una volta, non con poche difficoltà, Gazzella è riuscita a portare un sostegno concreto.

Un aspetto inquietante, come riferiscono i medici dello Shifa Hospital, sono i casi di suicidio: infatti da qualche mese ci sono stati ricoveri, o nel peggiore dei casi decessi, per tentati suicidi. Palestinesi senza speranza che si danno fuoco, che si gettano nel vuoto. Anche le violenze in famiglia sono aumentate; conseguenze derivanti dall’assedio che da 9 anni attanaglia il popolo di Gaza.

Durante la permanenza a Gaza sono stata a Kuzha’a dove ho accompagnato i contadini a lavorare nei loro campi che si trovano a ridosso del confine. Siamo arrivati sul posto con carretti trainati da cavalli: i contadini dovevano ripulire i campi dalle erbacce prima della raccolta. Hanno lavorato dalle 7 alle 10.30 di mattina, sotto lo stretto controllo dei soldati israeliani a pochi metri di distanza del “confine”. I campi a ridosso del ” confine israeliano” sono aree dove è difficile poter accedere e molto spesso l’esercito israeliano attacca i contadini. Un recente accordo tra Croce Rossa Internazionale, i contadini proprietari di terre, e Israele dovrebbe permettere di lavorare la terra senza subire attacchi, ma, troppo spesso, l’accordo non viene rispettato e l’esercito impedisce con la violenza una delle poche attività redditizie nella Striscia.

Le bombe israeliane continuano a mietere vittime. Durante la permanenza a Gaza un bambino di cinque anni, Suhayb Saqir di Jabalya, è stato ucciso, suo fratello Musab di 6 anni ferito, da un ordigno israeliano inesploso. Secondo un rapporto dell’OCHA sono circa 7.000 gli ordigni inesplosi rimasti sul terreno della Striscia di Gaza dopo l’aggressione israeliana “margine protettivo”. Il 13 agosto 2014 Simone Camilli, giornalista-fotografo, restava ucciso insieme ad altri cinque palestinesi mentre assumeva informazioni sulle bombe inesplose che Israele aveva sganciato durante l’operazione “margine protettivo”. Un lavoro per la ricerca di verità da raccontare, da far conoscere perché poco si parla dei danni collaterali delle bombe inesplose; crimini che chiedono e aspettano giustizia.

Lascio la Striscia di Gaza dopo due settimane, diretta a Gerusalemme. Negli ultimi mesi il turismo in Palestina, in particolare a Gerusalemme, ha subito un forte calo con esiti negativi sull’economia; soprattutto sono diminuite le visite dei gruppi provenienti dai paesi Europei restando invariata la presenza turistica di americani e russi. Nei territori occupati gli spostamenti sono resi difficili a causa dei tanti posti di blocco: da Gerusalemme a Nablus, circa 40 km, con i mezzi pubblici ho impiegato quasi 4 ore. Mi raccontano gli amici palestinesi di Nablus che per andare a lavorare a Ramallah, Qalqilia o Jenin non si spostano più con il proprio mezzo, per timore di subire, durante il tragitto, attacchi dai coloni, ma utilizzano il mezzo pubblico che richiede più tempo nello spostamento con significativi ritardi sul lavoro. La situazione nei territori resta molto critica e continuano gli attacchi dei coloni contro i Palestinesi e le perquisizioni nelle case da parte delle forze di occupazione israeliane, che giornalmente fanno arresti.

Le visite ai nostri bambini e bambine, come sempre, sono state fatte con la collaborazione dei nostri partner a Gaza: Medical Relief, Emaar, Hanan e Aisha. Mi sono mossa da Beit Hanun a Rafah e ho incontrato bambini/e che sono nel progetto Gazzella da anni a quelli più recenti dopo l’aggressione dell’estate 2014. Le famiglie ci hanno accolto, come sempre, con calore, e non mancano mai, anche se con poche possibilità economiche, di offrire una tazza di tè, di caffè o frutta. Per i casi che sono in adozione da anni ogni volta si rinnova la felicità dell’incontro, di vederli crescere; a tutti gli adottanti porto un abbraccio e un ringraziamento da parte delle famiglie e dei bambini e bambine.

Giuditta

24.3.2016

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