Relazione del viaggio di Gazzella a Gaza, novembre 2015

Pubblicato il 9 dicembre 2015 da Gazzella
 

Questa relazione è divisa in due parti, scritte dalle due volontarie di Gazzella che sono state a Gaza dandosi il cambio durante il mese di novembre 2015.

1.

Resoconto del viaggio di Gazzella a Gaza, 31 Ottobre – 11 Novembre 2015

Sono andata a Gaza (un’altra volontaria mi raggiungerà presto e invieremo anche il suo resoconto) per visitare i bambini adottati a distanza da Gazzella e per lavorare con le donne dell’Associazione di donne “Aisha” al programma del III anno del progetto finanziato dall’8 per mille della Chiesa Valdese: “Per una vita senza violenza” che aiuta donne vittime di violenza insegnando loro un mestiere e seguendole poi nella costruzione di una attività in proprio e aiutandole anche economicamente con un microcredito indispensabile per l’avvio dell’attività.

Eravamo un po’ preoccupate, anzi veramente i nostri parenti e amici lo erano, per quello che stava avvenendo a Gerusalemme e dintorni dove dovevamo fermarci una notte dato che l’ingresso di Erez per Gaza chiude alle 3 del pomeriggio e il nostro volo Fiumicino – Ben Gurion arrivava troppo tardi per andarci direttamente. Con nostra grande gioia (dato che era sabato e quindi giorno di vacanza) un amico del Consolato Italiano di Gerusalemme è venuto a prenderci all’aeroporto e ci ha portato a fare un giro per il quartiere ebraico ultraortodosso di Gerusalemme, Mea Shearim, e poi a casa sua per un’ottima cena.

Il quartiere di Mea Shearim è stato costruito nell’800 a ridosso della città vecchia ed è un luogo dove sembra che il tempo si sia fermato. Gli abitanti sono tutti dediti ad uno stile di vita strettamente legato ai dettami della legge ebraica, allo studio continuo della Bibbia e alla totale rinuncia a qualsiasi forma di benessere e soprattutto di comodità moderna. Molti abitanti di Mea Shearim appartengono al movimento anti-sionista “Neturei Karta”che si oppone all’esistenza stessa dello stato di Israele perché convinto che la Grande Israele verrà creata dall’avvento del Messia e non per mano dell’uomo. E’ stata una visita molto interessante ed istruttiva che in tanti anni in cui ho soggiornato per parecchi giorni regolarmente a Gerusalemme, non avevo mai fatto; sembra di essere completamente fuori dall’Israele contemporanea e ultra moderna. E’ un quartiere molto povero con edifici estremamente degradati, inferriate a tutti i piani e dappertutto biancheria stesa ad asciugare. Gli uomini hanno lunghe barbe e sono vestiti con abiti neri ed il cappello nero a larghe falde oppure indossano quegli enormi cappelli di pelo che sembrano delle grandi torte e le donne hanno gonne lunghe fino ai piedi e capelli stretti in strane cuffie. I bambini per la strada sono a centinaia tutti vestiti in abito tradizionale con i boccoloni che scendono dalle tempie e veramente sporchissimi. Cumuli di spazzatura puzzolente sono presenti ovunque. Una cosa interessante è che in Israele gli ortodossi sono dispensati dal servizio militare che invece è obbligatorio per gli altri israeliani e che dura 3 anni per i maschi e 2 anni per le femmine! Forse anche questo contribuisce al fatto che gli ortodossi non sono in genere quindi molto amati dal resto della popolazione. Neanche gli arabi di passaporto israeliano fanno il servizio militare.

Dopo aver passato la notte nel solito e ospitale ostello di pietra dentro le mura della città vecchia, con il taxi guidato dal grasso e solido autista palestinese Kim siamo andate a Erez dove siamo passate rapidamente e facilmente nel lato palestinese e attraversando Beit Lahia e Jabalia siamo arrivate a Gaza city nell’ufficio di Aisha dove abbiamo subito cominciato a lavorare con le donne con cui collaboriamo.

Abbiamo notato che più gli avvenimenti rendono controversa, anzi negativa agli occhi dei cittadini di altri paesi la politica israeliana, e meno odiosamente gli israeliani si comportano con gli internazionali. Buon per noi, perché a volte l’entrata a Gaza è stata un vero incubo pur avendo sempre, perchè indispensabile per l’accesso, il permesso della security israeliana.

Abbiamo visitato e fotografato bambini feriti quasi tutti durante l’aggressione israeliana “Margine Protettivo” di luglio-agosto 2014 e bambini adottati precedentemente con l’associazione Hanan handicappati gravi, gli uni e gli altri adottati da Gazzella. La ricostruzione dopo i bombardamenti non è quasi ancora cominciata per via della scarsa quantità di materiale da costruzione che Israele lascia entrare a Gaza ma soprattutto per il suo prezzo che è molto alto. Qualcosa è stato fatto, ma quasi unicamente in edilizia pubblica. Abbiamo visto con piacere un bel pezzo di strada nuova lungo il mare con un bellissimo e largo marciapiede, realizzato, ci è stato detto con soldi del Qatar. Anche qualche caserma e varie moschee sono state ricostruite dal governo! Molte case private che erano state danneggiate ma non troppo seriamente sono state riparate, ma di quelle distrutte quasi nessuna è stata ricostruita. Dalla mancata ricostruzione quindi deriva che ancora molte famiglie abitano in scuole dell’UNWRA e che molte altre persone abitano ancora ammassate in 3-4 famiglie che prima dei bombardamenti abitavano ognuna in uno e adesso stanno tutte in un appartamento al primo piano con la parte superiore dell’edificio distrutta, oppure sono tornate dai genitori che hanno ceduto loro una stanza oppure si sono trasferite in un altro villaggio a casa di parenti e sempre comunque molto stretti in poco spazio. Nella difficoltà della vita a Gaza, quella dell’affollamento in casa pare, a detta di tutti gli psicologi con cui ne abbiamo parlato, una forte aggravante.

Ogni volta che vado a Gaza all’inizio mi deprimo perché mi sembra che la situazione sia peggiorata, cosa che non credevo potesse avvenire e che quindi non ci sia speranza per il paese, ma poi con il passare dei giorni e vedendo la vitalità degli abitanti, l’allegria dei bambini, la bravura e la serietà delle persone delle associazioni con cui lavoriamo, la forza d’animo che la gente dimostra quando racconta di attività distrutte e ricostruite da zero più di una volta, che concludo che invece la speranza di costruire un paese in cui tutti possano vivere meglio esiste e si avvererà, ma chissà quando. Certo bisogna assolutamente che le persone sensibili facciano un grosso sforzo per aiutarli. Fra l’altro l’UNWRA che già non aveva sufficienti risorse per adempiere ai suoi compiti a Gaza, con i problemi della Siria ne ha ancora meno perché parte dei finanziamenti disponibili va ai profughi siriani. Ancora più forte è quindi l’imperativo di aiutare i bambini di Gaza!

Qualche mese fa avevo avuto dei contatti con il direttore di una scuola di vela di Pescia Romana che molto generosamente si era detto interessato e disponibile a lavorare e a cercare finanziamenti per un progetto di creazione di una scuola di vela a Gaza per bambini e adolescenti portando sul luogo barche e istruttori e invitando poi a Pescia Romana ragazzi di Gaza a seguire corsi per poi fare gli istruttori. La Striscia di Gaza è infatti una stretta striscia di terra sul mare mediterraneo lunga 40 Km e larga nei punti più larghi 10 Km dove il clima è mite quasi tutto l’anno e dove bambini e ragazzi che non hanno a Gaza alcuna possibilità di svago potrebbero praticare uno sport divertente, impegnativo e anche molto educativo. La scuola di vela “Mal di Mare” ha un’esperienza molto positiva con la pratica della vela fatta da ragazzi con problemi fisici e mentali. Vorrei ricordare che dopo l’aggressione israeliana “Margine Protettivo”, vivono a Gaza 300.000 bambini e ragazzi che soffrono di chiari e seri disturbi da stress post traumatico e che feriti loro stessi o no, hanno visto la loro casa distrutta e uccisi fratelli, e/o genitori e/o compagni di scuola e amici e avrebbero quindi bisogno di cure e la vela potrebbe molto aiutarli. L’unico luogo che a Gaza city rappresenta una possibilità di incontro per ragazzi è l’YMCA. A Gaza i cristiani sono solo 3000 ma l’YMCA è aperto e frequentato da tutti. Ho incontrato il suo presidente per proporgli il progetto, sentire se lo ritiene possibile e nel caso di una sua risposta positiva discutere di come si potrebbe organizzare. Al principio si è letteralmente terrorizzato all’idea della scuola di vela perchè gli sembrava una idea assolutamente assurda in quanto impossibile. Poi invece discutendo a lungo ci siamo chiariti le idee e saremmo arrivati ad un possibile progetto che segue e che trasmetterò al direttore di “Mal di Mare”. L’YMCA organizza corsi di nuoto e per andare a vela bisogna saper nuotare. I vincitori delle gare di fine anno dei corsi di nuoto, da decidere quanti e di che fascia di età, potrebbero, se interessati, essere scelti per andare accompagnati da un istruttore di nuoto maggiorenne necessario per far viaggiare i ragazzini minorenni da Gaza via Amman a Roma e a Pescia Romana a seguire un corso di vela (forse 2 settimane) e passare prima della vela o dopo, qualche giorno a Roma per visitarla, fare un po’ di turismo e conoscere altri coetanei italiani. Questo potrebbe innescare l’inizio della collaborazione fra “Mal di Mare” e l’YMCA di Gaza che si potrebbe poi sviluppare e diventare la creazione di una scuola di vela con scambio di istruttori e di allievi.

A me l’idea piace moltissimo e speriamo piaccia anche a “Mal di Mare” e se si realizzerà e se ce ne sarà bisogno, faremo anche una campagna di sottoscrizione ad hoc.

Abbiamo anche proposto al Gaza Community Mental Health Program (GCMHP) che è l’organizzazione più qualificata di Gaza per far fronte a problemi psicologici e psichiatrici degli abitanti e in particolare di bambini e ragazzi, di partecipare al bando della Chiesa Valdese (progetti finanziati con l’8 per 1000 delle tasse degli italiani destinato alla Chiesa Valdese) la cui presentazione scade alla fine di novembre, per chiedere un finanziamento per un progetto di intervento di aiuto ai ragazzi che hanno subito un trauma in “Margine Protettivo”. Il GCMHP ha accettato con entusiasmo affermando di avere molto bisogno di aiuto per la grave situazione di tanti bambini e ragazzi e la scarsità di mezzi. Ci accingiamo quindi a presentare anche un progetto di collaborazione fra Gazzella e GCMHP.

La situazione dei bambini di Gaza è veramente gravissima e le finanze di Gazzella molto limitate. Chiediamo quindi agli adottanti se è loro possibile, di prolungare le adozioni e parlarne con parenti e amici, gruppi di scout e classi di bambini e di ragazzini, per averne di nuove pur sapendo che anche la situazione italiana è peggiorata ed è quindi a volte difficile poter aiutare altri anche se veramente bisognosi.

Se ci sono persone o gruppi che non riescono ad arrivare alla cifra necessaria per adottare un bambino per un anno, vanno bene anche cifre più basse che messe insieme ad altre raggiungono la cifra necessaria.

Con questa relazione dell’ultimo viaggio a Gaza provo quindi a rilanciare una campagna di adozioni a distanza di bambini feriti da armi israeliane e molto molto poveri. L’aiuto di Gazzella attraverso l’adozione di un bambino ferito e quindi bisognoso di cure in una famiglia generalmente numerosa può veramente essere di grande aiuto e determinante per la sopravvivenza dignitosa e serena di tutta la famiglia.

Sancia

2.

Resoconto del viaggio Palestina, 10-30 novembre 2015

Torno in Palestina dopo circa 4 mesi. A Gerusalemme gli amici palestinesi mi fanno trovare la consueta accogliente sistemazione e non c’è verso, come solito, che mi facciano pagare. Turisti si aggirano per la città vecchia, ma nella Gerusalemme est solo pochi palestinesi; a pochi chilometri dalla porta di Damasco i soldati israeliani stanno tenendo sotto assedio case e interi quartieri. La rivolta palestinese degli ultimi due mesi, terza intifada (?), ha visto giovani, ragazzi e ragazze, ribellarsi all’occupazione, alla limitazione dei movimenti, opporsi alle forze militari israeliane che entrano nelle case, sequestrano e attaccano i civili. Una morte sicura per i giovani palestinesi che vanno contro i coloni, a cui segue la demolizione della loro casa e l’arresto dei famigliari. Giovani che non hanno più speranze e sogni. A Hebron i contadini e i pastori difendono la loro terra dal tentativo di insediamento di nuove colonie, mentre i bambini per andare a scuola devono percorrere chilometri perché l’esercito israeliano non permette il passaggio su alcune strade; il centro storico è sotto il controllo e gli attacchi dei coloni. Da Nablus a Qalandia, Tulkarem, Jenin, Ramallah, la rivolta dei giovani è ovunque con un’univoca richiesta, autodeterminazione.

Entro nella Striscia di Gaza il giorno dopo il mio arrivo in Palestina e trovo sistemazione presso alcuni cooperanti. Non vedo grandi cambiamenti: l’elettricità è erogata per 6 ore al giorno e la promessa di ricostruzione non è iniziata a causa delle chiusure imposte da Israele, ma non solo. Il pernicioso meccanismo di ricostruzione funziona attraverso azioni di controllo. Alcune famiglie, che hanno fatto richiesta di aiuti per ricostruire la casa demolita o danneggiata, raccontano che una volta inoltrata la domanda agli uffici preposti dell’ONU questa viene condivisa con l’AN.P. che la trasmette all’intelligence israeliana; quest’ultima ne vaglia la “sostenibilità”. Non è chiaro quali siano i criteri che danno accesso agli aiuti economici e quando questi arriveranno; certo è che con questo sistema di sorveglianza Israele rafforza il suo controllo sulla popolazione. Il ritardo nel far partire la ricostruzione (si parla di circa 10.000 case completamente distrutte e di circa 125 mila danneggiate) ha determinato anche grossi problemi di convivenza, situazioni di stress e tensione che spesso sfociano in litigi famigliari. Diversi nuclei famigliari infatti continuano a vivere in case prefabbricate che come mi hanno ripetuto sono calde d’estate e fredde d’inverno e non garantiscono un minimo di intimità.

Non è migliorata neppure la situazione per i dipendenti pubblici del Governo locale: i salari vengono erogati ogni 2 mesi ed è pagato solo il 40%. La chiusura dei tunnel ha compromesso le entrate del Governo locale che si è trovato costretto ad imporre maggiori tasse sui generi alimentari e non che entrano nella striscia di Gaza. Fare quindi la spesa a Gaza è un lusso, perché i prodotti e materiali che arrivano sul mercato sono soggetti alla tassazione dell’A.N.P., di Israele e adesso anche del Governo locale. Povertà, disoccupazione, impossibilità di un’economia ( import- export), ingredienti di una miscela esplosiva: corruzione. Da tempo nella Striscia di Gaza è ricomparso Dahlan, quel Mohammed Dahlan già governatore della Striscia e capo dei servizi segreti di Arafat, accusato di corruzione ed espulso dal suo stesso partito, Fatah. Dopo la firma degli accordi di Oslo del ’93 è stato a capo dei servizi di sicurezza dell’ANP e questo lo ha reso un importante interlocutore della CIA e dei servizi di sicurezza israeliani. Dahlan ha vissuto in esilio dorato a Dubai, grazie anche a donazioni ricevute negli Emirati e oggi vive a Belgrado, abile faccendiere con le fortune degli Emirati. La sua opera “benefica” e la sua “popolarità” nella Striscia di Gaza, la porta avanti la moglie; raccontano che tante famiglie hanno avuto sostegno economico per far sposare figli, per acquistare beni di consumo e non. Così nella povera e assediata Striscia di Gaza, ragazzini e adulti che vivono in condizione misere nei campi profughi, hanno a disposizione cellulari di nuova generazione, moto e tanto altro. Si dice che l’attività “benefica” sia per preparare o meglio comperare il momento del rientro di Dahlan nella Striscia.

Durante la mia permanenza a Gaza ho continuato, anche, con l’attività di monitoraggio dello Shifa Hospital. Il reparto di dialisi dell’ospedale offre il servizio a 340 pazienti provenienti da Gaza City e il nord della Striscia. I 40 letti e altrettante attrezzature per la dialisi non sono sufficienti, se si calcola che ciascun paziente necessità di 4 ore di trattamento, e nel reparto si lavora per 24 ore al giorno. Scarseggiano materiali in particolare bicarbonato di sodio per la emodialisi. I medici del reparto riferiscono che le attrezzature spesso vanno in blocco quando si passa dall’erogazione di elettricità al generatore. I bambini continuano ad essere i soggetti maggiormente a rischio. Il Ministero della salute attraverso Health Research & Studies Society ha rappresentato la necessità di portare aiuto alle famiglie di bambini che soffrono di problemi genetici e malattie derivanti da insufficienza renale. L’assenza dell’alimento essenziale “therapeutic milk” mette i bambini in serio pericolo di complicazioni quali convulsioni, disabilità, anemia e ritardi mentali e fisici. I casi accertati, da zero a 12 mesi, che necessitano di specifico trattamento sono 442. Ci chiedono un intervento economico per aiutare le famiglie.

Anche nella Striscia di Gaza il venerdì è giornata di protesta contro l’occupazione. Il training in Cisgiordania sulle ambulanze durante gli attacchi israeliani, e l’esperienza al pronto soccorso dello Shifa Hospital mi sono stati utili ai fini delle attività di soccorso. Durante le manifestazioni del venerdì sono andata in ambulanza con un medico e un infermiere. Le manifestazioni avevano inizio alle ore 14 e si protraevano fino alle ore 17. Il primo venerdì sono andata al border di Erez. Indossavamo la giacca identificativa del soccorso sanitario ed eravamo forniti di una mascherina per nulla utile contro i gas, guanti di gomma, e batuffoli di cotone imbevuti di una sostanza per inibire gli effetti dei gas. Abbiamo collaborato con altri colleghi del Palestinian Red Cristian Society nel prestare soccorso a feriti da gas lacrimogeno e da pallottole; tutti i feriti sono stati portati all’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia. Il venerdì successivo siamo andati al El Burej. E’ stata una giornata piuttosto difficile e alla fine abbiamo contato, tra i più gravi, 11 feriti da arma da fuoco, tutti trasportati al Al Aqsa Martyrs Hospital di Deir el Balah. Durante gli interventi ci spostavamo in tre con la barella e, sebbene visibili e riconoscibili, durante le azioni di soccorso gli israeliani non cessavano il fuoco. I ragazzi con la fionda si mettono ad una distanza di 1 km circa dalle jeep militari e dalle torrette di controllo e senza alcuna difesa iniziano a lanciare sassi. Questi giovani ragazzi, senza bandiere di partito, ma consapevoli della loro condizione vanno a sfidare l’occupante a mani nude, sapendo che dall’altra parte ci sono militari ben addestrati, armati e pronti ad uccidere.

Esco dalla Striscia di Gaza portando con me un dono di un contadino di Khusaa, un piccolo albero di ulivo. Purtroppo a Erez mi è stato chiesto di riportare indietro l’ulivo.

Rientro a Gerusalemme dopo circa 20 giorni e la città ha cambiato volto. L’attentato di Parigi ha fatto crollare le prenotazioni e la città è semi deserta. Prendo un mezzo pubblico per arrivare a Nablus, ma vengo fermata a Ramallah, a causa di scontri in corso tra palestinesi e soldati israeliani. Non c’è provincia della Cisgiordania dove la rabbia dei giovani palestinesi non si faccia sentire, nel tentativo di bloccare i continui attacchi dei coloni e contro l’occupazione.

Il progetto Gazzella iniziato nel 2000 fa i conti con una situazione in continua mutazione. In più di 10 anni di visite e incontri con le famiglie dei nostri ragazzi e ragazze sono venuta a contatto con situazioni e realtà diverse, alcune cambiate in meglio, altre deteriorate. Ai nostri partner del progetto nella Striscia di Gaza (Palestinian Medical Relief, Associazione Hanan, Associazione Emaar) non manco di rappresentare le difficoltà che si vivono in Italia e che riguardano anche i nostri adottanti: parlo dei mancati rinnovi dei contratti, i salari bassi, nel tentativo di far comprendere che per noi tutti il progetto di Gazzella non è scontato, ma ci crediamo e per questo siamo disposti anche a sacrifici. Ho visto in questi anni bambini e bambine che fortunatamente non erano feriti in modo grave e non avevano riportato invalidità permanenti; altri meno fortunati hanno riportato ferite invalidanti e altri ancora sono mancati. Il nostro progetto ha bisogno di rinnovarsi anche con altre adozioni perché purtroppo i bambini feriti nell’aggressione israeliana di agosto 2014 sono tanti. Per questo dovremmo prendere in considerazione la possibilità di rivedere le adozioni in essere e che riguardano casi di ragazzi e ragazze cresciuti/e, che hanno raggiunto una stabile situazione e che potrebbero essere sostituiti con nuovi, bisognosi casi .

Un caro saluto

Giuditta

6.12.2015

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