Rapporto del viaggio di Gazzella a Gaza – Aprile 2014

Pubblicato il 11 maggio 2014 da Gazzella
 

L’arrivo nella Striscia di Gaza è accompagnato dal sorvolo di F16 che minacciosi sfrecciano su tutta la Striscia. Non sai mai quando colpiranno e questa è una delle tante ragioni di stress e paura che coinvolgono tutti, adulti e bambini. Durante la mia permanenza a Gaza non sono mancati gli attacchi israeliani per colpire siti della resistenza palestinese. Per gli israeliani i resistenti da colpire sono ovunque: pescatori quando sono in mare, i contadini quando sono sulla loro terra a coltivare, i bambini quando giocano per strada. Perfino la fabbrica di lavatrici nel campo profughi di Jabalya, o l’officina del fabbro a El Zahraa sono siti di resistenti!

La chiusura dei tunnel si fa sentire per quanto riguarda il rifornimento di carburante (l’elettricità continua ad essere erogata a fasce orarie, 6 ore), di generi alimentari, medicine e attrezzature, ma anche per il mancato introito delle tasse che permetteva al Governo di Gaza di pagare stipendi e sostenere le famiglie in stato di bisogno. Infatti, come è emerso anche nel corso delle visite ai nostri bambini in adozione, parecchie famiglie che versano in condizioni critiche ricevono aiuti dal Governo locale, servizi sociali. Contributi che variano a seconda del numero dei componenti della famiglia e dalla specifica condizione. Il contributo viene erogato ogni 3 mesi e non supera i 500 NIS trimestrali (circa 100 euro). Un contributo mensile il Governo di Gaza lo riconosce anche ai feriti da attacchi israeliani che versano in difficili condizioni o che sono rimasti invalidi .

La ricostruzione è un’attività continua a Gaza: in questo periodo è in corso il rifacimento della strada principale, che costeggia il mare, e collega Gaza a Rafah. I finanziamenti sono del Qatar, mentre allo Shifa Hospital, uno degli ospedali pubblici della Striscia di Gaza, si sta ultimando la nuova ala dell’ospedale grazie ai finanziamenti degli Emirati Arabi. Negli ospedali è costante la carenza di medicinali e non vi sono prospettive per avviare le attività di prevenzione sanitaria, che sarebbero di assoluta importanza per la popolazione. Mi riferiscono i medici che i casi di tumore in particolare tra i bambini sono in aumento, ma purtroppo la mancanza di un data base “storico” non permette di avere informazioni certe sull’incremento dei casi di tumore e delle diverse tipologie, poiché è solo dal 2009 che è iniziata la raccolta dei dati. La maggior parte dei malati di tumore è costretto a recarsi per le cure fuori Gaza, in Israele, Egitto, Giordania e questo compatibilmente con le aperture dei border di Erez e Rafah. I bambini trovano cura presso il Rantheesi Hospital, in particolare per la chemioterapia che resta comunque l’unica cura accessibile in quanto la radioterapia mancano le attrezzature. La nostra Associazione in questi anni ha seguito con attenzione le possibili ricadute determinate dall’uso di armi “non convenzionali” durante gli attacchi israeliani. La ricerca di sostanze contaminanti e inquinanti nell’acqua dei pozzi municipali della Striscia di Gaza ha infatti dimostrato la presenza di metalli pesanti che purtroppo è stata rilevata anche nei capelli di bambini ed adulti, che in tempi diversi sono stati analizzati. Per queste ragioni iniziative di prevenzione a Gaza sarebbero di estrema utilità.

Mentre ero a Gaza si è consumata l’ennesima farsa in tema di “accordo di pace”. Il governo israeliano fermava il rilascio dei prigionieri come punizione politica nei confronti dell’Autorità Palestinese che aveva avviato l’iter di adesione a 15 convenzioni internazionali, tutte di rilevante importanza, pur dovendo notare che mancavano le richieste di adesione alle Corti Internazionali, quelle che davvero spaventano Israele. La situazione politica interna palestinese continua ad essere anch’essa complicata e alcuni parlamentari e leader del movimento islamico di resistenza, Hamas, hanno chiesto alla rappresentanza di Ramallah di interrompere i negoziati con Israele e di porre fine alla politica di coordinamento della sicurezza, tra forze di sicurezza palestinesi ed israeliane, perché è un’attività che va a discapito dei palestinesi. Prova che i negoziati tra l’Autorità Palestinese e Israele non stanno dando alcun beneficio è che dall’inizio dell’anno ci sono stati 20 omicidi e centinaia di arresti da parte del IOF (forse di occupazione israeliane). La situazione socio-economica in Palestina è molto difficile: secondo il censimento del 2013 i bambini, la cui età non supera i 18 anni, costituiscono tra la Cisgiordania e Gaza circa 2 milioni di individui cioè il 47% del totale della popolazione. Di questi, nella Cisgiordania, il 18,5% soffre la povertà, mentre nella Striscia di Gaza si arriva al 39,3%. Tra l’altro l’Ufficio centrale di statistica palestinese evidenzia che il tasso di povertà delle famiglie palestinesi della Striscia di Gaza è in notevole aumento a causa dell’assedio, ma anche per la continua chiusura del border di Rafah. Al 18 di aprile u.s. il border di Rafah risulta chiuso al passaggio merci e persone da 81 giorni. L’Onu ha criticato la chiusura del border per i suoi drammatici effetti sulla popolazione civile e per i tanti malati che aspettano di ricevere cure mediche.

Nel corso della mia permanenza a Gaza ho visitato anche la famiglia di Ayub. Ayub è stato ferito durante un attacco israeliano nel 2008, ha perso una gamba, arrestato nel 2011 e condannato a 6 anni di carcere, (vedi report pubblicati nel sito). Ayub è tuttora detenuto nel carcere di Beersheva e fortunatamente non è più in isolamento. La madre ci racconta che ogni 2 mesi vanno a trovare il figlio, attraverso il coordinamento della Croce Rossa Internazionale. Subiscono tanti e pesanti controlli, da parte degli israeliani, sia al border di Erez che al carcere. La madre ci dice che il colloquio avviene via telefono e un vetro la separa da Ayub, ma non riesce a vederlo bene in quanto il vetro è oscurato. Ayub sta attraversando un periodo di depressione. Avrebbe necessità di una nuova protesi alla gamba.

Lascio la striscia di Gaza, 13 aprile e arrivo Gerusalemme in una giornata di alta tensione: le forze di occupazione israeliana avevano limitato l’ingresso dei palestinesi alla Spianata delle Moschee e poi aggredito i fedeli musulmani, sostenendo l’avanzata dei coloni nei luoghi sacri islamici. Nel corso di quella giornata i militari israeliani hanno effettuato arresti fra i dimostranti palestinesi e decine di palestinesi sono rimasti feriti, contusi o intossicati durante i disordini verificatisi sulla Spianata delle Moschee.  Una Gerusalemme militarizzata con i turisti che si aggirano nel suk per fare acquisti, ma anche al turista meno attento non passano inosservati gli scavi a fianco del Muro del Pianto sotto la Spianata delle Moschee, per la costruzione di un nuovo edificio ebraico e la chiusura della Mughrabi Gate, la rampa che dalla piazza del Muro del Pianto conduce alla Spianata. Questa occupazione anche dei luoghi sacri, ma direi anche di “profanazione” della storia, ha trovato attenzione: infatti grazie alle pressioni del Governo Giordano e alla risoluzione dell’ONU divulgata l’ 11 aprile scorso, e approvata dall’UNESCO a stragrande maggioranza (solo gli Stati Uniti hanno votato contro), una delegazione di periti sta per essere inviata nella Città Vecchia di Gerusalemme, per valutare il suo stato di preservazione e per presentare un rapporto ed eventuali suggerimenti al Comitato per il Patrimonio Mondiale. Una delle richieste sarà proprio quella di far cessare, da parte di Israele, la violazione della Città Santa.

Lascio la Palestina facendo i conti con l’ennesima attacco ai diritti: all’aeroporto sono modificate le regole per la “sicurezza”. Devo dire che paradossalmente i controlli più rigidi avvengono non all’arrivo in Israele, ma all’uscita dal paese. I viaggiatori in partenza vengono “classificati” con un sistema numerico secondo una serie di “criteri” alquanto anomali, poi viene assegnato un codice a barre e a seconda di questo numero i controlli sono più o meno leggeri o approfonditi. I controlli includono il passaggio dei bagagli per un metal detector ad alta definizione e la possibile richiesta di apertura del bagaglio nel caso sia sospetto un oggetto “visionato”. Questa volta, con mia sorpresa, qualcosa è cambiato: dopo il controllo passaporto mi avviano direttamente al check in della compagnia aerea, Alitalia, per la registrazione, ritiro carta d’imbarco e consegna bagaglio. Durante questa operazione mi viene chiesto di togliere il lucchetto dalla valigia e consegnare la stessa per l’imbarco in stiva. Alla mia richiesta di spiegazioni mi informano delle nuove disposizioni sui controlli e cioè che il bagaglio viene “passato” al metal detector e in caso si rendesse necessario effettuare controlli, lo stesso viene aperto da personale addetto alla sicurezza. Per questo la richiesta di rimozione del lucchetto. Penso che tale prassi sia arbitraria, tra l’altro né il Consolato Italiano e la Compagnia Aerea Alitalia mi avevano dato preventiva informazione sulle nuove modalità di controllo del bagaglio. Non ho altra soluzione che assecondare la richiesta.

Come sempre cerco di non attirare l’attenzione nella totale frustrazione!, ma il pensiero è poter tornare in Palestina.

Ho affrontato il viaggio di ritorno consapevole che il bagaglio era “incustodito” per l’intero viaggio e quindi a rischio di possibili manomissioni nelle varie fasi di passaggio a cui veniva sottoposto e con il dubbio che potrei avere un effetto personale in meno o forse “qualcosa” che non mi appartiene….. e sarebbe difficile risalire ai responsabili. Per quel che potrà servire, la segnalazione verrà fatta a quei soggetti che hanno il dovere di tutela la dignità e la riservatezza dei cittadini.

G.B.

25.4.2014

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