Dai volontari di Gazzella a Gaza 22/11/2012

Pubblicato il 23 novembre 2012 da Gazzella
 

Gaza, 22 novembre 2012

Striscia di Gaza: nessuna guerra, ma deliberata aggressione armata da parte di uno degli eserciti più potenti al mondo contro 1.600.000 civili palestinesi.

Sulla base di dati riferiti al 2008 l’esercito israeliano, che è considerato tra le forze armate di maggior livello qualitativo, di addestratamento e operativo al mondo, può contare su circa 200.000 effettivi tra donne e uomini, in grado di triplicarsi, per necessità, con circa 450.000 riservisti; circa 300 aerei da combattimento, 40 aerei da trasporto, più di 300 elicotteri, compresi quelli d’assalto Apache, aerei F16 Falcon e F15 Eagle con una difesa antiaerea di oltre un centinaio di batterie missilistiche a lunga e media gittata; 3 sottomarini, 17 navi da combattimento e più di 30 pattugliatori; 76 brigate, più di 3.500 carri armati, più di 10.000 mezzi blindati e numero imprecisato di pezzi d’artiglieria. Infine come base identificativa e di attacco vengono utilizzati gli U.A.V. “Unmanned Aerial Vehicle” , chiamati informalmente Droni, veicoli aerei senza pilota, autonomi e pilotati a distanza che permettono, di colpire “obiettivi mirati”.


È fuorviante porre la questione definendola “guerra in corso” perché significa occultare i dati veri: sulla Striscia di Gaza le aggressioni e i crimini contro la popolazione civile sono quotidiani. L’informazione relativamente ai danni causati da anni di assedio non è mai completa: sappiamo dei bombardamenti, delle distruzioni e delle morti, ma poco dei danni determinati dalla violenza dell’occupazione con la quale si sono confrontati nella loro crescita i bambini. Traumi i cui effetti nel tempo si vedranno nei comportamenti, aggressività e frustrazioni, danni che si ripercuoteranno sullo sviluppo civile di tutta la società.

La notte tra il 20 e il 21 novembre è stata terribile: bombardamenti incessanti, il letto che si muoveva come ci fosse un terremoto continuo e anche l’albergo che avrebbe dovuto essere “NO TARGET” non mi faceva sentire sicura. Verso le 2 del mattino uno scoppio vicinissimo ha mandato in frantumi alcuni vetri dell’albergo. È stata un notte trascorsa “in piedi”, avanti e indietro dalla camera alla hall dell’hotel, per cercare “complicità nella paura” con gli altri internazionali presenti.

Anche nella giornata del 21 novembre, che ha preceduto la decisione serale del “cessate il fuoco”, le forze armate israeliane hanno continuato a commettere crimini e portare morte. Durante la mattinata sono stata alla “New Gaza School” dell’Unrwa a Gaza dove avevano trovato posto circa 2.000 palestinesi sfollati dalle loro case del campo profughi al-Shati (Beach Camp) e dalla Zona Nasser. Stavano sistemando le classi per adattarli a luoghi per dormire provvisoriamente. I ragazzi davano una mano a scaricare i materassi appena arrivati e i bambini erano accanto alle mamme silenziosi. Mentre uscivo dalla scuola dell’Unrwa mi ha avvicinato un signore e mi ha chiesto se ritenevo la scuola un posto sicuro. Il ricordo e’ andato alla scuola dell’Unrwa bombardata durante l’operazione piombo fuso; avrei voluto dirgli che non ci sono posti sicuri, poi ho pensato che anche lui sapeva cosa stesse accadendo e gli ho risposto con quello che forse voleva sentire “sure”, certamente.

L’ospedale al-Shifa è stato il luogo dove in questi giorni ho trascorso la maggior parte del tempo anche perché i lunghi spostamenti in macchina erano sconsigliati. Il chirurgo norvegese Mads Gilbert, stimato e apprezzato dai colleghi palestinesi che avevano già avuto occasione di lavorare al suo fianco durante il massacro “Piombo Fuso”, era presente nella sala di emergenza per le prime valutazioni . L’arrivo delle ambulanze e delle macchine private con i feriti creano sempre momenti di grande confusione: fotografi a caccia dello “scatto”, venivano a fatica tenuti lontani dagli agenti della sicurezza. All’interno della sala di emergenza una decina di letti dove i feriti vengono valutati per essere indirizzati alla sala dei raggi X, o direttamente alle sale operatorie.

Ieri sera all’ospedale al-Shifa abbiamo atteso la comunicazione della tregua, che per noi tutti significava anche poterci spostare “in relativa sicurezza”.

Confermato il “cessate il fuoco” ci sono stati momenti di “euforia”, strette di mano e abbracci. All’esterno iniziavano i caroselli di macchine e la città di Gaza riprendeva a rivivere un po’ la sua vita, ma negli occhi di tanti è rimasta la domanda: per quanto tempo e a quale prezzo?

g.b.t.

Lascia un commento