Dai volontari di Gazzella a Gaza. Ancora sul caso Ayyub

Pubblicato il 14 luglio 2012 da Gazzella
 

Ancora sul caso Ayyub (leggi anche la corrispondenza dell’8 aprile 2012)

Ayyub, oggi 20 anni, imputato per presunti reati commessi all’età di 16 anni, è stato arrestato nel giugno del 2011 al suo rientro dalla Slovenia dove si era recato per l’applicazione di un arto artificiale. Ayyub era entrato nel progetto Gazzella quando aveva perso la gamba destra e riportato altre ferito sul corpo, sotto i bombardamenti israeliani nell’aprile del 2008.

A distanza di un anno dal suo arresto, sia l’associazione dei diritti umani al-Mizan di Gaza, che segue il caso, sia la famiglia, confermano che poco si sa sul suo stato di salute e sulle ragioni dell’arresto. Solo la Croce Rossa Internazionale e l’avvocato hanno potuto visitare Ayyub nel carcere di Beer Sheva dove è detenuto. È stata negata la consegna delle stampelle di cui Ayyub ha bisogno per potersi muovere dato che l’arto artificiale e’ stato rimosso subito dopo l’arresto. Le visite, fino ad oggi, sono state negate ai genitori anche se dopo lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi nei mesi scorsi, era stato raggiunto un accordo che stabiliva la fine dell’isolamento, la limitazione delle detenzioni amministrative e il rispetto del diritto di visita dei familiari.

Ma a quanto pare è un accordo di forma.

La ragione dell’arresto di Ayyub, come indicato dall’associazione al-Mizan, è stata esplicitata nel corso dell’udienza presso la Corte israeliana lo scorso 28 maggio; da informazioni assunte dai servizi di sicurezza dell’esercito -Shin Beth- Ayyub, prima del 2008 data del suo ferimento, avrebbe partecipato ad azioni di appoggio alla resistenza palestinese. Il giudizio della Corte è stato rimandato al prossimo mese di settembre quando Ayyub si presenterà davanti alla Corte che giudica i reati commessi dai minorenni, stante che Ayyub, all’epoca dei presunti fatti attribuiti, aveva meno di 16 anni.

La condizione di Ayyub rispecchia la condizione di migliaia di palestinesi, che vengono arrestati molto spesso sulla base di informazioni non verificate né documentate. In molti casi la detenzione è “amministrativa”: una persona può essere trattenuta per sei mesi rinnovabile più volte a discrezione dei servizi di sicurezza e senza un capo d’accusa. Ciò non corrisponde a nessun principio legale.

Il sistema giudiziario israeliano si basa sull’operatività dell’esercito e dei servizi segreti (Shin Beth). Questi ultimi attraverso i continui arresti svolgono un lavoro di reclutamento di collaboratori, corrompono la società palestinese negoziando favori e promuovono diverse fonti e forme di informazione sulla vita politica, sociale e sul quotidiano dei palestinesi.

È un sistema articolato che funziona anche su base globale, che si avvale e si completa con le attività di sicurezza/prevenzione, attraverso sofisticati dispositivi di conoscenza e di sorveglianza.

Il sistema giudiziario israeliano non svolge compiti di accertamento o prova dei reati ma svolge attività di “governo” del territorio e di controllo della popolazione.

Per i palestinesi le porte del carcere si aprono anche senza capi di imputazione o semplicemente per legami familiari con detenuti.

La metodologia applicata, in contrasto con qualsiasi norma e legge internazionale, è quella dell’esercito inglese durante l’occupazione coloniale.

Continuare a dare solidarietà e sostegno ad Ayyub significa anche denunciare il sistema giudiziario israeliano, quel sistema che ha arrestato Ayyub sulla base delle informazioni senza possibilità di verifica, che tiene Ayyub detenuto in un carcere fuori dal suo territorio, in contrasto con la IV Convenzione di Ginevra.

g.b.t

Luglio 2012

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