Relazione del viaggio di Gazzella a Gaza – Gennaio 2012

Pubblicato il 20 febbraio 2012 da Gazzella
 

Relazione viaggio a Gaza, gennaio 2012

Dal 12 al 26 gennaio sono stata a Gaza a visitare i bambini adottati da “Gazzella”. L’entrata da Eretz, il chekpoint di Beit Hanun posto all’ingresso della Striscia di Gaza, mi ha messo come al solito a dura prova per il trattamento che ho dovuto subire. Sono arrivata da Gerusalemme il venerdì 13 gennaio di mattina presto, all’orario di apertura, perché essendo il giorno in cui il passaggio chiude a mezzogiorno per riaprire poi solo la domenica, avevo una gran paura che trovassero una scusa per rimandarmi indietro. Non ero mai stata a Gaza a gennaio e dalle esperienze precedenti Gaza era per me un luogo dove si muore sempre di caldo; invece inaspettatamente tirava un vento gelido e gli agenti della sicurezza e i soldati nei loro box e casette riscaldate facevano finta di non vedere che c’era qualcuno che aspettava fuori. Quando finalmente dopo più di mezz’ora sono riuscita ad attirare la loro attenzione, mi hanno chiesto il passaporto e mi hanno fatto segno di aspettare. E’ passata un’altra mezz’ora e più in cui nessuno ha fatto niente, e finalmente, forse perché mi hanno visto gesticolare insistentemente, senza degnarmi di uno sguardo hanno chiamato qualcuno al telefono che è arrivato, armato fino ai denti e con molto comodo e aria annoiata, per prendere il mio passaporto. Dopo altre attese e un breve interrogatorio sulle ragioni della mia andata a Gaza, cosa sempre traumatizzante perché non si sa mai bene cosa sia meglio rispondere, finalmente sono passata e, attraverso il lungo corridoio in terra di nessuno (si fa per dire perché il controllo di questa zona è unicamente israeliano), sono finalmente arrivata a Gaza dove, dopo un rapido controllo del permesso dell’autorità palestinese che è da circa un anno necessario avere, mi sono sentita libera. Lì finalmente mi sono venuti a prendere Maher dell’associazione Hanan, una delle associazioni con cui Gazzella collabora, accompagnato da un amico che parlava inglese e che faceva da interprete.

La sorpresa e l’impressione sono state forti. La mia ultima visita nella Striscia di Gaza risale ad ottobre del 2010. Allora la distruzione, risultato dell’operazione israeliana “Piombo Fuso” avvenuta fra dicembre 2008 e gennaio 2009, era ancora molto evidente. Adesso, invece, dal Nord al Sud, si vedono centinaia e centinaia di case nuove o ancora in costruzione e gru e cantieri dappertutto. I palazzi sono molto fitti e il terreno libero, soprattutto quello non sabbioso e coltivato, è ridotto a piccoli appezzamenti in mezzo a gruppi di costruzioni. Fra le costruzioni nuove salta all’occhio l’alto numero di moschee grandi e piccole, che nelle ore della preghiera fanno un gran baccano, cosa che mette ancora più in evidenza della vista quanto siano numerose. Comunque il gran numero di nuove costruzioni dà un senso di grande vitalità del paese, decisamente positivo. Altro segno della vita che forse migliora per gli abitanti è un gran numero di nuovi ristorantini, soprattutto di pesce. Il pesce è esposto a vista sulla strada o è addirittura sul marciapiede; si sceglie entrando e dopo un pòarriva cotto alla perfezione e profumato da erbe varie, purtroppo non accompagnato da un buon vino. Non si può avere tutto!! Mi auguro che in estate il pesce sia messo in frigoriferi o sul ghiaccio. Non sono riuscita a capire se i pesci e pescetti, gamberi e granchi presenti in abbondanza in tutte queste piccole trattorie e anche nei mercati, siano tutti pescati localmente o vengano anche dagli allevamenti di El Arish sulla costa egiziana non lontano da Gaza, come mi hanno detto alcuni.

Ho cercato di capire chi costruisce tanto e soprattutto chi può comprare poi gli appartamenti che sono decisamente cari. Certo le case servono, considerato l’aumento della popolazione (gli abitanti di Gaza sono arrivati a 1.800.000) e la distruzione causata dalle bombe israeliane. Confrontando le diverse versioni mi è parso di capire che la terra è molto cara, ma il materiale da costruzione che arriva dall’Egitto attraverso i tunnel, costa invece abbastanza poco, malgrado la tassa riscossa da Hamas su tutto ciò che arriva dai tunnel. Chi ha la terra, quindi, si può costruire la casa, magari lavorandoci personalmente e con parenti e amici disoccupati (la disoccupazione è al 70% e quindi braccia per aiutare a costruire non mancano). Il governo di Hamas sostiene che sta costruendo molte case per i poveri che vivono ancora in baracche e catapecchie, soprattutto nei campi. Speriamo sia vero, altrimenti non si capisce, data la grande povertà, chi si possa permettere di acquistarli. Ci sono poi i nuovi ricchi che guadagnano, e anche molto, commerciando tutto ciò che arriva attraverso i tunnel.

La situazione nei campi, dove vivono molti dei bambini di Gazzella è terribile. Lo spazio a disposizione è molto limitato e la popolazione cresce. I pavimenti di molte case sono in terra battuta. Spesso il bagno non esiste o è molto primitivo e la cucina si riduce a dei fornellini traballanti sistemati in qualche angolo all’aperto. I molti bambini, a volte più di 7-8 nello stesso nucleo, dormono in un’unica stanza e, non raramente, insieme ai genitori. Molte famiglie sono poverissime ma dignitose, con case in ordine e bambini puliti, mentre in altre famiglie è visibile un degrado terribile in cui i padroni di casa non hanno neanche voglia di offrirci qualcosa da bere come fanno in generale tutti. Quando piove il campo si allaga immediatamente trasformandosi in un orribile pantano fangoso che ridiventa poi di polvere che penetra dappertutto dopo poche ore di sole. Durante il mio soggiorno ha piovuto spesso, e mentre io pensavo che ci mancava solo la pioggia per rendere Gaza al suo peggio, gli abitanti erano invece molto contenti perché è l’unico periodo dell’anno in cui piove un po’ e loro hanno molto bisogno di acqua. Il mare invernale, spesso in tempesta, era invece bellissimo.

Il freddo tuttavia si faceva sentire e mentre ero a Gaza, abbiamo fatto fare 500 berretti da distribuire ai nostri bambini. Bisognerebbe trovare altre risorse da dedicare a queste micro-iniziative.

Non so se siano peggiori le condizioni di vita nei campi situati nella parte nord di Gaza come Jabalia o Beit Lahiya o quelli della parte centrale come Deir Al Balah o Al Maghazi oppure al Sud come in quello di Khan Younis o di Rafah. La situazione in ogni campo in cui sono stata a trovare dei bambini mi è sembrata peggiore di quella della famiglia precedente visitata in un altro campo. Anche con il freddo i bambini erano tutti per strada, a giocare perché le scuole erano chiuse per due settimane di vacanza, e quasi tutti senza scarpe, senza però dare l’impressione di soffrire per questo.

Attualmente le associazioni di Gaza con cui Gazzella collabora sono tre. La Palestinian Medical Relief Society (PMRS) che è una ONG fondata nel 1979 da un gruppo di medici e operatori sanitari per supplire alle carenze della sanità palestinese dovute ai tanti anni di occupazione israeliana. Con la PMRS collaboriamo da molti anni soprattutto a Gaza ma anche in Cisgiordania, adottando bambini feriti in bombardamenti o in altre circostanze da armi israeliane. Alcuni di questi bambini sono ormai grandi e alcuni per fortuna anche guariti dalle ferite. Poi c’è Hanan che è un’altra associazione con cui Gazzella collabora, e che si occupa più di problemi sociali che esclusivamente sanitari; con loro abbiamo in adozione principalmente bambini handicappati gravi, quasi tutti cerebrolesi che vengono da famiglie molto indigenti. Il gran problema di questi bambini è che molto spesso per mancanza di soldi non possono fare la fisioterapia di cui avrebbero bisogno per stare un po’ meglio o almeno non peggiorare e in certi casi, anche quando potrebbero farla gratis, le famiglie non hanno soldi per portarli in taxi. Di questi bambini abbiamo 75 che avrebbero bisogno di cure urgenti. Infine c’è Emaar, una Ong di Khan Younis, con la quale Gazzella collabora ad un progetto in cui ai bambini sordomuti quasi tutti dalla nascita, viene fatto un impianto cocleare ad una delle orecchie, e poi in un centro gestito dalla stessa Ong, Basma, specializzato in questa patologia, ai bambini viene fatto un corso per l’uso dell’apparecchio e soprattutto per imparare a parlare. Abbiamo in adozione 15 di questi bambini che vengono seguiti tutti i giorni fino a che non imparano a parlare benino. Anche le madri vanno una volta alla settimana al centro Basma per seguire la rieducazione del bambino e imparare come continuare a insegnargli a parlare e a come usare e mantenere funzionante l’apparecchio, cambiare le batterie, fare piccole riparazioni ecc. I pezzi di ricambio degli apparecchi sono molto cari e i ragazzini soprattutto se molto vivaci come sono spesso, hanno bisogno continuamente di ricambi. A Khan Younis dove è molto alta la percentuale di matrimoni fra cugini, nascono un gran numero di bambini con deficienze di origine genetica fra cui alcuni tipi di sordità. Diversi bambini sordomuti adottati che abbiamo visitato hanno uno o più fratelli con lo stesso problema.

La vita a Gaza è molto dura, soprattutto per le donne che soffrono della mancanza di reddito dovuta alla disoccupazione, sia loro che dei mariti e devono fare miracoli per vestire e soprattutto nutrire i numerosi figli. Per i giovani non c’è alcun divertimento. Esisteva un cinema che da quando Hamas è al governo, ha chiuso. Mancano luoghi di aggregazione. La musica che piace ai giovani è proibita nei luoghi pubblici. Le donne non possono far altro che sposarsi e avere figli. Ho incontrato molte ragazze che mi hanno detto che avrebbero voluto studiare ingegneria o chimica ma che la scelta di facoltà scientifiche da parte delle donne è fortemente boicottata. Le donne hanno tutte almeno il capo coperto e molte, soprattutto nel Sud della Striscia, hanno anche il viso coperto. Ho parlato con varie donne giovani e emancipate che dopo aver resistito a lungo con la testa scoperta hanno ceduto per non dover subire i commenti pesanti ogni volta che passano per strada e che quindi ora se la coprono quando escono.

Ho visitato i bambini nelle loro case quando ho potuto, accompagnata da persone che lavorano per le tre associazioni che collaborano con Gazzella. È indispensabile essere accompagnata per i problemi derivanti dalla lingua e anche perché, soprattutto nei campi, è difficile anche per gli stessi gazawi, trovare o ritrovare la famiglia desiderata nel groviglio di stradine molto simili le une alle altre e senza quasi punti di riferimento. Alcuni bambini li ho invece incontrati negli uffici delle associazioni dove sono venuti accompagnati da un familiare. Alla fine della giornata ero veramente sfinita dalla stanchezza, dalla quantità di bevande dolcissime che avevo dovuto bere per non offendere l’ospitalità delle famiglie visitate ma soprattutto dall’angoscia per la situazione.

Gaza è anche piena di contraddizioni. In molte case in cui sono stata, per esempio, anche apparentemente povere, c’era un computer e quasi sempre con accesso a internet Wi-Fi. La maggioranza delle persone che passano per la strada, soprattutto giovani, ha in mano un telefono cellulare moderno e sofisticato. Probabilmente serve a farli sentire meno isolati e in prigione come in realtà sono, per cui la considerano una priorità. La corrente elettrica va via più volte al giorno per parecchie ore ma ormai quasi tutti i palazzi, gli uffici e i negozi hanno generatori autonomi che entrano in funzione immediatamente. L’unico problema è il rumore assordante e la puzza quando entrano in funzione tutti i generatori.

Molte sere, dopo le visite, ho passato delle ore piacevoli nelle famiglie dei miei accompagnatori, dove le mogli con le madri o le suocere o le zie e a volte anche le nonne mi hanno preparato degli squisiti maftool (nome palestinese o forse di Gaza del cous cous), con pollo, verdure e ceci o altri piatti locali veramente buoni.

Tutte le persone a cui ho chiesto un pronostico sul risultato delle prossime elezioni legislative che si svolgeranno a maggio o comunque, pare, entro l’anno, hanno risposto che secondo loro questa volta Hamas non vincerà perché non ha mantenuto le promesse fatte prima di vincere le elezioni del 2006.

Ho visitato varie associazioni, soprattutto di donne e per le donne. Alcune mi sono parse migliori di altre per il lavoro che svolgono e per come sono organizzate. Fra le associazioni che mi sono piaciute, c’è la PDWSA (Palestinian Developmental Women Studies Association) che è una ONG per lo studio e la ricerca finalizzati a promuovere lo sviluppo delle donne per incrementare la loro presenza e il loro ruolo nella società e soprattutto nelle carriere pubbliche. La PDWSA si occupa anche di assistere le donne in carcere. È diretta da Mariam Abu-Daqa considerata una figura mitica da tutti a Gaza per il ruolo giocato in tutte le battaglie palestinesi degli ultimi 30 anni e più.

Mi ha fatto una ottima impressione Aisha, ONG per la protezione di donne e bambini soprattutto vittime di violenza in genere subita in famiglia, in particolare di donne con qualche disabilità. Aisha organizza corsi, dà assistenza psicologica, aiuta le donne a trovare un lavoro e i bambini a tornare a scuola quando l’hanno dovuta abbandonare. Le volontarie di Aisha vanno in giro in tutta la Striscia ma soprattutto nei campi, intervistando le donne. Fanno poi una selezione per corsi intensivi che si svolgono nella loro sede e che durano da uno a sei mesi. Le ragazze vengono prese la mattina e riaccompagnate la sera da un pulmino dell’associazione. I corsi sono di cucito, maglia, ricamo, parrucchiere, computer, video e altri. Alla fine del corso Aisha segue le partecipanti da vicino per uno-due mesi e poi sempre meno spesso, per vedere quello che stanno facendo e per aiutarle a superare le difficoltà. Fra i corsi, ci sono anche lezioni di economia e di business. L’idea portante è che le donne vengano incoraggiate ad aprire delle piccole imprese o a produrre per altre imprese che già esistono e che si vogliono ingrandire.

A conclusione della mia visita penso di poter affermare che la situazione di Gaza è molto dura ma che si vede anche qualche segno di ripresa dopo la tragedia dell’operazione Piombo Fuso. Gli aiuti di Gazzella servono molto e i bambini e le famiglie aiutate ne hanno un gran bisogno e spesso non so come potrebbero fare senza. Bisognerebbe fare una campagna per aumentare il numero delle adozioni e anche per cercare contributi che possano servire ad altri scopi al di fuori delle adozioni. Alcune famiglie avrebbero bisogno di un aiuto extra per potere, per esempio, portare il bambino a fare la fisioterapia o per farlo operare a Gaza o in qualche altro paese come la Giordania o l’Egitto. Si potrebbero anche aiutare associazioni locali ad aumentare le attività o a migliorarle. Vorrei aggiungere anche che i nostri viaggi a Gaza sono utili perché fanno sentire le famiglie dove c’è un bambino adottato meno sole e isolate e servono molto anche a noi per renderci conto di come vanno le cose e di come lavorano le associazioni con cui collaboriamo.

Spero di riuscire a tornare al più presto, anche per vedere i bambini da noi assistiti che non ho potuto vedere questa volta. Ho visto complessivamente circa 140 bambini e dovrei vederne ancora 140. Il piccolo sostegno che diamo lascia un segno importante, come ho potuto verificare ancora una volta. Il lavoro di Gazzella è molto apprezzato nella Striscia, grazie non solo ai contributi alle famiglie, ma anche al sostegno dato agli ospedali e alle associazioni che si occupano dell’infanzia.

Grazie a tutte e a tutti per il continuo sostegno che ci permette di assistere i bambini più bisognosi in una delle aree più disastrate del pianeta.

S.

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2 commenti

  1. Ant87 ha scritto

    Buongiorno, il mese prossimo andrò a Gaza per motivi umanitari e vorrei sapere se è possibile contattare l’autrice di questo articolo per farle qualche domanda sulla situazione che ha potuto riscontrare.
    Grazie,
    Saluti

    C.

  2. Gazzella ha scritto

    Giro la sua richiesta a info@gazzella-onlus.com

    Cordiali saluti.

    Alessandro

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