Relazione del viaggio di Gazzella a Gaza marzo-aprile 2011

Pubblicato il 17 maggio 2011 da Gazzella
 

Resoconto del viaggio in Palestina marzo-aprile 2011

Cari amici di Gazzella,

questa mia lettera vi arriva con un ritardo di circa un mese dovuto alla forte emozione che ha suscitato in me l’ultimo viaggio nella Striscia di Gaza. Un’emozione ancora più forte delle volte precedenti. Purtroppo mentre ero lì ho appreso della morte di un altro bambino sostenuto da Gazzella. Nawal – una bimba nata nel 2004 – viveva a Beit Hanun. Durante l’operazione “piombo fuso” aveva riportato bruciature da fosforo in gran parte del corpo. In questi anni aveva subito numerosi interventi nel tentativo di rimediare al disastro provocato dal fosforo. Sfortunatamente non ce l’ha fatta. Inoltre ho lasciato Gaza due giorni prima che venisse sequestrato e ucciso Vittorio Arrigoni. Ho saputo del sequestro mentre ero a Gerusalemme e mi apprestavo – dopo una breve visita nei territori della Cisgiordania – a fare ritorno in Italia. Tutti gli amici che ho incontrato nei giorni successivi a Gerusalemme erano frastornati, nessuno sapeva darsi una ragione di questa morte assurda. Solo due settimane prima l’uccisione dell’attore palestinese-israeliano, pacifista, Juliano Mer Khamis – freddato a colpi di pistola nel campo di Jenin – aveva suscitato il timore che ad uccidere Juliano fossero dei palestinesi collaborazionisti. Molti tra gli amici palestinesi individuavano nei servizi israeliani i mandanti dell’omicidio di Vittorio, altri invece lo attribuivano al degrado culturale e civile a cui sono ridotte sacche di giovani gazzesi attratti da idee oscurantistiche e divenuti manovalanza manovrabile da chiunque.

Ero Tornata a Gaza dopo 4 mesi di assenza e mi era sembrato che nulla fosse cambiato. Attraversare il posto di blocco di Erez che segna una sorta di confine tra il territorio conquistato dagli israeliani e la Striscia di Gaza è sempre più faticoso. Il chilometro di tunnel fatto di acciaio, telecamere e docce di raggi X separa due mondi. Nel percorso tra Erez e la città di Gaza City incontro i “raccoglitori” di ferro e sassi, di materiali di scarto, di avanzi di macerie, il tutto da riciclare per tentare di ricostruire o rimediare ai danni delle incursioni israeliane.

I bambini sono partecipi di queste raccolte, si spostano a dorso di muli in aree a rischio, “border line”, dove i cecchini israeliani sono pronti a sparare. Ogni manifestazione di vita è nel mirino dei cecchini israeliani. Anche i volontari internazionali che spesso accompagnano i contadini palestinesi che cercano di lavorare le loro terre vicine alle linee israeliane sono obiettivi dei cecchini. Mentre attraverso quel tratto del quale ho fatto qualche fotografia che vi avevo mandato l’ultima volta, non posso non pensare a un amico palestinese colpito a morte mentre cercava di raccogliere i suoi ortaggi e che avevo visto la volta precedente all’ospedale Shifa di Gaza. E tutte le volte penso ai nostri quattro ragazzi che avevano perso le gambe mentre raccoglievano le fragole. Li vado a trovare tutte le volte che posso. Ormai sono grandi e uno di loro si è sposato ed ha una bambina piccola.

In questa mia visita ho incontrato parecchi dei nostri bambini ed ho avuto conferma che la presenza di Gazzella e le nostre visite sono importanti per trasmettere vicinanza e condivisione nelle difficoltà e nel dolore. Sempre più sono le richieste di aiuto e di intervento per bambini che hanno ferite che non guariscono e che forse con adeguate cure e con appropriato intervento chirurgico potrebbero essere risolte. È il caso di Ra’ad, 11 anni, di Khan Younis ferito al viso da un proiettile che ha perforato la bocca; a distanza di 2 anni e dopo un intervento Ra’ad non riesce a mangiare, la bocca è sanguinante e il labbro superiore visibilmente malformato probabilmente per la presenza di piccole schegge. Per lui si sta tentando di trovare la modalità per un ricovero in un ospedale italiano.

Gli attacchi israeliani contro i civili nei primi giorni di aprile, hanno causato 17 morti e più di 40 feriti; io sono stata nella sala emergenza dello Shifa Hospital: i feriti arrivavano sia con ambulanze che con auto private. Le nuove disposizioni gestionali del più grande ospedale pubblico della Striscia di Gaza, garantivano l’accesso nella sala emergenza solo ai feriti e ai parenti stretti, limitando l’accesso ai giornalisti locali che, molto spesso in passato, erano fonte di confusione ed intralcio agli interventi di soccorso. Il personale incaricato dell’ospedale era addetto alla raccolta delle informazioni dell’evento e di documentazione fotografica dei feriti. È diffusa la convinzione tra i medici che le ferite causate dalle armi utilizzate dagli israeliani durante gli attacchi siano riferibili ad armi “non convenzionali”; in tal senso il risultato di alcune indagini hanno confermato la presenza di metalli pesanti, tossici e cancerogeni, sia nelle polveri delle bombe utilizzate durante gli attacchi che in campioni di tessuti di feriti.

Durante questa esperienza ho visto arrivare allo Shifa Hospital bambini feriti e terrorizzati. È sempre più necessario adoperarsi per creare le condizioni affinché i danni arrecati dagli attacchi siano doverosamente documentati e denunciati. Essere a fianco e sostenere la popolazione palestinese ci ha portato ad allargare il campo di intervento della nostra associazione. Ho visitato l’associazione I’mar di Khan Yunis che attraverso il centro di recupero “Basma” (sorriso) si prende cura di bambini sordomuti. È l’unico centro della Striscia di Gaza che cura questi casi; il centro assiste 45 tra bambine e bambini. Tutte/i sono

Roma, maggio 2011stati sottoposti ad intervento chirurgico gratuito, presso lo Shifa Hospital, da parte di una equipe medica proveniente dagli Emirati Arabi . L’intervento consiste nell’inserire un microchip dietro l’orecchio ed esternamente una piccola apparecchiatura che elabora i suoni e i rumori.

Presso il centro “Basma” si insegna a conoscere le parole, e si “perfezionano tecnicamente” le percezioni dei rumori. Ho visitato nelle loro case alcuni bambini che sono stati operati. Ho riscontrato che, a volte, anche un familiare, il padre o il fratello, era sordomuto. Chissà, forse per ragioni ereditarie. I genitori mi raccontavano che i momenti di maggior angoscia per loro erano durante gli attacchi aerei, spesso effettuati con droni. E non solo l’attacco in sé era fonte di terrore, ma molto spesso i bambini si trovavano in strada a giocare ed essendo sordi non si rendevano conto di quanto stava accadendo.

Rispetto al mio viaggio precedente, ho notato maggiore povertà. La povertà e la disoccupazione accompagnano la vita dei palestinesi, nella consapevolezza che senza la fine dell’occupazione non potrà esserci possibilità di ripresa. Un’occupazione che alimenta tensioni e costringe ad una quotidianità dove mantenere dignità e tenere viva la solidarietà reciproca diventa sempre più difficile.

Durante il mio soggiorno a Gaza, oltre ai bombardamenti sulle città e sui campi profughi ci sono stati anche molti bombardamenti sui tunnel. I tunnel di Rafah – più di 1.500 – rappresentano l’unica possibilità di rifornimento per i gazzesi: passano elettrodomestici, generi alimentari, abbigliamento, moto, animali, ma anche droghe. La corruzione, e come conseguenza il non controllo delle merci circolanti, è argomento difficile da affrontare. Da una parte si potrebbe pensare ad una incapacità dell’autorità di Gaza di governare, ma la verità è da ricercare negli effetti dell’occupazione: quando nel 2005 Israele lasciò la Striscia di Gaza e spostò i circa 8.000 coloni in parte nel Negev e in parte nei nuovi insediamenti dei territori occupati, l’opinione pubblica “disattenta” pensò che l’occupazione per la popolazione della Striscia di Gaza fosse finita. Iniziava invece una nuova forma di occupazione fatta di assedio via terra, e via mare, mettendo in campo nuovi strumenti per piegare la popolazione resistente di Gaza.

In questa nuova forma di aggressione si stanno consumando i tentativi di Israele di corrompere la solidarietà tra i palestinesi. È probabile che in tanti casi l’offerta di denaro in cambio di delazione e di informazioni abbia trovato terreno fertile; così come è facile mescolare, volutamente, le naturali tensioni di un popolo nell’esercizio dei diritti civili, con la rabbia per gli attacchi e per il permanere dell’occupazione israeliana. Sulla pelle del popolo palestinese non si stanno solo provando armi non convenzionali, ma si sta mettendo a dura prova la resistenza delle coscienze, della memoria, si sta tentando di minare la solidarietà e l’unità che da 60 anni ha visto fianco a fianco le diverse generazioni di palestinesi. Sono convinta che il nostro mondo non abbia nulla da insegnare o da esportare al popolo palestinese, la politica – se non è in malafede – dovrebbe solo impegnarsi per sostenere i diritti del popolo palestinese.

All’uscita dalla Striscia di Gaza sono stata come al solito obbligata al controllo con il sistema del “body-scan”. L’arrivo nei Territori Occupati della Cisgiordania mi ha fatto toccare con mano le altre forme di occupazione: Gerusalemme è blindata, in particolare nella giornata del venerdì; la porta di Damasco è presidiata da militari a cavallo e i musulmani in preghiera vengono continuamente sottoposti a snervanti controlli. La città di Nablus è presidiata dalle forze di occupazione israeliana ed è sottoposta a continue aggressioni da parte dei coloni. La situazione è incandescente anche ad Hebron dove anche lì i coloni – armati fino ai denti – sono i principali responsabili degli attacchi alle famiglie palestinesi.

Lascio la Palestina prima dell’arrivo in Italia della salma di Vittorio Arrigoni; anche per lui, e per il suo impegno che ha pagato con la vita, e nel suo ricordo abbiamo il dovere di continuare nel nostro lavoro di solidarietà a fianco del popolo palestinese. In Italia apprendo la notizia della riconciliazione tra Fatah e Hamas, i due maggiori partiti palestinesi. Spero che l’accordo raggiunto possa dare qualche momento di tregua alla popolazione stremata da tanti anni di occupazione e da molti anni di lotte intestine. I palestinesi sembrano contenti dell’accordo, anche se nella loro maggioranza non nutrono fiducia nell’ANP e nella diplomazia internazionale. La popolazione di Gaza nutre più speranze nell’operato del nuovo governo egiziano per togliere l’assedio imposto alla Striscia da parte israeliana ed egiziana. Speriamo che l’accordo raggiunto tra le due fazioni renda meno difficile la scelta del governo egiziano di apertura del valico di Rafah, apertura che allevierebbe la sofferenza di oltre un milione e mezzo di persone.

G.

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