Resoconto del V viaggio di Gazzella in Palestina

Pubblicato il 23 dicembre 2002 da Gazzella
 

Alle amiche e agli amici che hanno adottato a distanza un bambino palestinese ferito.

Carissimi,

Nell’augurarvi un Nuovo Anno di serenita’ e di prosperita’ condivisa presento

alla vostra attenzione una testimonianza del mio recente viaggio a Gaza.

Cordialmente, Anissa

GAZA -12-23 dicembre 2002

Sento stavolta in modo piu’ accentuato un senso di smarrimento e di dolore al mio rientro da Gaza dove la situazione diventa sempre piu’ insostenibile perle famiglie e per i bambini in particolare. Ero insieme ad altri della delegazione “Gazzella”, l’Associazione che prende il nome da unabambina di Hebron chiamata “Ghazalah “, ferita alla testa dall’ esercito d’occupazione nell’anno 2000 e fortunatamente guarita dalle cure di medici palestinesi dopo un lungo coma. Il nostro referente in loco e’ l’Unione dei Comitati Palestinesi di Soccorso Sanitario “The Palestinian Medical Relief Committees” i cui operatori ci accompagnano di casa in casa con molta disponibilita’ e competenza professionale.

Di solito partiamo insieme , ma accade talvolta che qualcuno di noivenga rinviato in Italia da Tel Aviv da parte delle autorita’ israeliane, per “ragioni di sicurezza”, dicono. Generalmente passiamo delle ore all’aeroporto per i controlli minuziosi che si ripetono poi all’entrata a Gaza e talvolta in vari altri punti di controllo all’interno della Striscia di Gaza.

In quest’ultimo viaggio abbiamo visitato 417 famiglie di bambini feriti. Oltre alle case distrutte, ai campi devastati, alle strade chiuse e comunque rese impraticabili dai bulldozer israeliani, stavolta ho notato tanta tristezza nei volti delle persone ed un pessimismo a tratti rassegnato davanti al crescente numero di feriti e di martiri di ogni eta’.

A Khan Yunis, citta’ a Sud della Striscia di Gaza, dove noi abbiamo trascorsoquattro giorni, durante la notte gli spari ad intervalli non hanno avuto tregua. A Rafah, citta’ semidistrutta ed espropriata, ai confini con l’Egitto, i colpi di mitraglia e di cannoni sono proseguiti anche di giorno causando un faggi fuggi’ continuo. Attraversando la strada da una casa all’altra, mi veniva chiesto di affrettarmi ad entrare nelle case per via degli spari che si sentivano da ogni parte. Il mio pensiero pero’ era come catturato dall’espressione triste e talvolta rassegnata delle persone.

Questa e’ stata la sorpresa piu’ amara di questo viaggio In diverse circostanze il bambino ferito, destinatario della nostra busta, era fuori casa con i compagni a vegliare un coetaneo ucciso dai soldati israeliani. In questi casi, per gli spazi ristretti delle abitazioni, viene montata una grande tenda, cosi’ da congiungere i due lati della stradadavanti alla casa della vittima, dove la gente va a porgere le proprie condoglianze alla famiglia. L’ordine di Sharon, comprovato dai fatti, ai suoi militari: “Quando vedete due o tre palestinesi radunati insieme sullestrade, fate fuoco su di loro” mi ricorda, per contrasto, quanto detto da Cristo: “La’ dove due o tre persone sono riunite in mio nome, io sono in mezzo a loro”. E dire che Sharon reclama quella terra come promessagli da Dio!

L’occupazione militare israeliana imponendo un coprifuoco quasi permanente, nelle citta’ e nei villaggi, soffoca sul nascere ogni speranza di movimento e di vita. Malgrado tutto, la gente cerca di andare avanti, ma si sentestremata e priva di una qualsiasi prospettiva di futuro. E’ questa la condizione di chi deve sopportare un’occupazione militare che continua da decenni. Parecchie ragazze che prima frequentavano l’ universita’ hanno dovuto interrompere gli studi non potendo più pagare la retta ne’ acquistare i libri. Lasciare la casa non e’ poi sempre cosi’ semplice essendo seguiti a vista dai militari israeliani, appostati nei “Gulbe” o torri di controllo, piazzate davanti ai numerosi insediamenti israeliani nel cuore delle citta’ di Khan Yunis, Rafah, Jabalia ecc. e attorno ai campi profughi ed ai villaggi palestinesi. Ne consegue un sempre maggior numero di persone ferite e uccise, in modo mirato o colpite da armi da fuoco o missili lanciati a casaccio dall’esercito israeliano sulle abitazioni palestinesi nei campi e nelle citta’. Non di rado ho avuto modo di vedere soffitti forati da pallottole e muri anneriti dall’esplosione di un proiettile. Molti dei bambini sono stati feriti dentro casa e la maggior parte di loro ha ancora delle schegge in varie parti del corpo essendo stati colpiti da pallottole dumdum.

Partita il 12 dicembre, sono rientrata da Gaza dopo 11 giorni di permanenzaportando negli occhi e nel cuore le immagini di un paesaggio desolato. Alla distruzione delle case di coloro che sono sospettati di voler combattere l’occupazione militare – magari perche’ in quella famiglia ci sta un ferito o un colpito a morte dall’esercito israeliano, quanto basta per essere considerati terroristi – si aggiunge lo sradicamento di palme e uliveti, l’ergersi del grande muro di separazione tra insediamenti israeliani e villaggi palestinesi, con conseguente espropriazione di nuova terra palestinese. Le strade secondarie che collegano le varie citta’ e villaggi della Striscia di Gaza sono state chiuse o interrotte dal punto in cui cominciano ad intravedersi le verdeggianti colonie israeliane. Questo fa si’ che tutto il traffico da Nord a Sud di Gaza e viceversa venga convogliato in un’unica strada con conseguenti soste, oltremodo prolungate, ai check-points.

La mattina del 22 dicembre, lasciando la citta’ di Gaza abbiamo dovuto superare a piedi un’interruzione di strada di un 1km circa nei pressi di Der El Balah. La macchina che ci conduceva e’ dovuta tornare indietro mentre noi ci siamo unite alla lunga fila di persone di ambo i sessi -grandi e piccoli, qualcuno in sedia a rotelle o sorretto da stampelle – che come noi tentavano di raggiungere a piedi l’altro tratto di strada asfaltato. Li’ sostavano altre macchine, impedite a loro volta di proseguire verso la citta’ di Gaza. In quella circostanza abbiamo fatto parte, nostro malgrado, di quella processione di gente che camminava nei due sensi di marcia su una strada infangata e piena di pozzanghere, per le piogge di quei giorni, dopo che l’esercito israeliano ne ha smantellato l’asfalto.. Da quando Gaza e’ stata tagliata in tre parti, questa e’ la vita di chi deve spostarsi, per raggiungere un posto di lavoro, un ospedale o un parente in un villaggio vicino. Costretti a prendere una seconda o terza macchina all’altra estremita’ della strada, il tempo fuori casa e le spese di viaggio si moltiplicano. E’ un modo per impedire e comunque controllare ogni spostamento, cio’ che esaspera gli animi e rende la vita di tutti i giornioltremodo difficile. Tutto questo avrebbe lo scopo di garantire la sicurezza dei coloni all’interno dei loro insediamenti o ghetti paradisiaci.

Quella stessa mattina, raggiunta la cittadina di Der El Balah, ci siamo trovati davanti ad una montagna di detriti. Era la casa di Abdel ‘Aziz, uno dei nostri bambini feriti. Il fratellino di 10 anni, Abderrahman, rovistava tra le macerie in cerca della sua borsa contenente i quaderni ed i libri scolastici. E’ lui che ci racconta di essere stato svegliato la notte scorsa dai soldati israeliani intimando alla famiglia di lasciare la casa entro 10 minuti. Fatta saltare in aria la casa, i militari hanno prelevato Il nostro Abdel’Aziz che al momento della nostra visita si trovava ancora nelle loro mani. In seguito, una telefonata segnalava al Medical Relief il ritorno a casa del bambino ferito e il prelevamento di un altro fratello. Il piccolo Abderrahman e’ rimasto solo in quella casa distrutta, con la madre in cerca di una tenda presso l’UNRWA e per di piu’ con l’assenza del padre detenuto in un carcere palestinese.

Le 417 buste consegnate ai bambini feriti, oltre all’aiuto finanziario della famiglia italiana, contenevano una breve letterina in arabo da parte di “Gazzella. Alcuni bambini hanno voluto leggerla, noi presenti, suscitando nelle loro famiglie una commossa gratitudine verso i tanti amici italiani per la loro amicizia e solidarieta’. Cio’ che la gente di Gaza apprezza di piu’ e’ la nostra presenza, poiche’ si sente sola, lasciata alla merce’ d’un esercito implacabile il cui obiettivo e’ percepito essere quello di liquidare, in tutti i modi possibili, la popolazione palestinese per annettere ad Israele l’intera Palestina. Il loro appello accorato, di “non essere dimenticati”, va da noi accolto portando a conoscenza di quanti possiamo raggiungere, con ogni mezzo, la loro drammatica situazione. Solo cosi’, la speranza potra’ vincere la disperazione e la vita di ogni giorno potra’ riprendere il suo normale corso!

Anissa

Gazzella Onlus

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