Perchè l’Intifada (cenni storici)

Pubblicato il 1 gennaio 2002 da Gazzella
 

Le origini del conflitto

Estesa all’incirca come il Piemonte, la Palestina era abitata nell’antichita’ da popolazioni diverse, alcunedelle quali nomadi. Tra le altre, gli ebrei, che, per motivi legati alla loro attivita’ commerciale, si erano sparsi anche in altri territori, fondandovi colonie. A questo esodo volontario si sovrappose, dopo la conquista romana e la distruzione del grande tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., la dispersione forzata. In seguito, quei territori, ormai a maggioranza araba, fecero parte per secoli dell’lmpero ottomano. Finche’, sconfitto quest’ultimo nella prima guerra mondiale (1914/18), passarono sotto protettorato britannico, con la promessa dell’indipendenza.

Ma la Gran Bretagna, con una dichiarazione del suo ministro degli esteri, lord Balfour (1917), aveva preso con il movimento sionista un impegno che contraddiceva quella promessa, autorizzando massicce ondate di immigrazione ebraica, con la prospettiva di creare un “focolare” (home foyer) nazionale ebraico. Mentre nel 1918 vi erano in Palestina 644.000 arabi e 56.000 ebrei (l’ 8 per cento del totale), nel ’31 gli ebrei erano diventati il 31,4 per cento e possedevano il 5,6 per cento della terra. I palestinesi si opposero anche con le armi a un’immigrazione il cui fine dichiarato era quello di sottrarre loro la propria terra e l’indipendenza. Dopo la seconda guerra mondiale, dopo l’orrore dell’Olocausto, l’Onu cerco’ di uscire da una situazione gravemente compromessa raccomandando la spartizione del territorio in due Stati: uno ebraico, con il 56,47 per cento della superficie originaria e uno arabo-palestinese, con il 42,88 per cento, diviso in tre parti non confinanti. Gersalemme doveva avere uno statuto internazionale.

La guerra, esplosa nel ’48, mando’ a monte quel progetto. Con l’appoggio materiale delle maggiori potenze (Urss e Stati uniti) e grazie ad accordi segreti con il re di Transgiordania, Abdullah, legato agli inglesi , i sionisti si impadronirono non solo della terra loro destinata nelle raccomandazioni dell’Onu, ma anche di parte dello Stato palestinese (il rimanente fu annesso dalla Transgiordania, che muto’ il suo nome in Giordania) ed espulsero con le armi la grande maggioranza della popolazione araba. Ai primi 800.000 profughi altri se ne aggiunsero con i conflitti successivi sicchè nel 1980 l’Onu ne registra due milioni 150 mila. La Gerusalemme storica, araba, fu annessa dalla Giordania. Gli israeliani vi costruirono accanto una citta’ nuova, che, con la finzione dell’unita’, precostituiva argomenti per un’ulteriore espansione. Questa avvenne nel giugno del ’67, con la cosiddetta “guerra dei sei giorni”, che porto’ sotto il dominio israeliano l’intero territorio della Palestina originaria.

Quella guerra, dalla quale gli Stati arabi erano usciti sconfitti, vide d’altra parte i palestinesi, che il mondo aveva “dimenticato”, tornare sulla scena come protagonisti armati.

Territori occupati e legittimita’ internazionale

Con l’espressione “Territori occupati” ci si riferisce fondamentalmente a quelli a occidente del Giordano, noti, appunto, come Cisgiordania o West Bank (“riva occidentale”) che avrebbero dovuto far parte dello Stato palestinese ed erano stati, invece, fra il ’48 e il ’67, sotto la Giordania, e alla “striscia” di Gaza, destinata anch’essa allo Stato palestinese, ma amministrata dall’Egitto. Quel termine richiama anche l’illegittimita’ delle pretese di Israele, sconfessate dall’Onu con la risoluzione 194 , che chiede il ritorno dei profughi, con la 242 (che ribadisce l’inammissibilita’ della conquista con le armi e il principio del ritiro israeliano) e con una serie di risoluzioni che respingono l’annessione di Gerusalemme.

L’intifada e gli accordi di Oslo

Mentre i palestinesi hanno dato il loro assenso, a partire dagli anni 70, a soluzioni conformi alla legittimita’ internazionale (accettazione di un loro mini-Stato e riconoscimento di Israele), lo Stato ebraico mantiene da ben trentatrè anni un atteggiamento negativo, o ambiguo, sul destino dei Territori e ha spinto a fondo l’opera di snazionalizzazione attraverso la costruzione di insediamenti di civili ( i cosiddetti coloni) armati. Nel 1987, l’invivibilita’ del regime d’occupazione ha fatto scoppiare la prima intifada, che ha portato al livello piu’ basso l’immagine dell’occupante. La battaglia dei sassi era cessata con la firma degli accordi di Oslo (1993), negoziati in segreto tra Israele e l’Olp ( riconoscimento dell’Olp, trasferimento di piccole parti di territorio all’autogoverno palestinese, ma calendario di ritiri israeliani mai mantenuto, assoluta vaghezza sui punti centrali per una pace giusta, cioè il diritto al ritorno dei profughi, l’eliminazione degli insediamenti, lo status di Gerusalemme), ma l’intransigenza e la repressione hanno imposto la ripresa della lotta. Basti pensare che dal 1993 al 2000 (cioe’ durante i colloqui per gli accordi di Oslo) gli abitanti degli insediamenti sono raddoppiati, passando da 100.000 a 200.000 e che la situazione economica ( un lavoratore palestinese in Israele porta a casa 50 dollari alla settimana; la disoccupazione ha raggiunto il 25%) e’ diventata insopportabile: si capisce così perche’ la passeggiata di Sharon sulla Spianata delle moschee ( il terzo luogo sacro dell’Islam) il 28 settembre del 2000 abbia rappresentato la scintilla della nuova rivolta.

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