Come siamo nati, chi siamo e perché ci diamo da fare
Viaggio a Gaza (agosto 2001)
Ritorno in Palestina (agosto 2001)

 

COME SIAMO NATI, CHI SIAMO E PERCHE’ CI DIAMO DA FARE

Il nome ‘Gazzella’ è quello di una bambina quattordicenne di Hebron che, nel novembre del 2000, tornando a casa dalla scuola, fu così gravemente ferita alla testa da un soldato israeliano che in un primo momento i medici ne diagnosticarono la morte celebrale. Venne operata d’urgenza, fu salvata e dopo un lungo periodo entrò in convalescenza. Il suo nome è quindi un simbolo di speranza.

"Gazzella" non è una associazione, potremmo chiamarla una iniziativa di rete, perché è costituita da tanti punti (gli adottanti) connessi fra loro idealmente dalla volontà di aiutare i bambini palestinesi feriti.

"Gazzella" nasce da una idea venuta a due vecchie amiche del popolo palestinese che, andate a proprie spese nel novembre del 2000, nei Territori Occupati, spinte dal desiderio di vedere direttamente cosa stava succedendo, sono rimaste molto colpite dalle condizioni terribili in cui vivono dall’inizio della seconda Intifada (29 settembre 2000) i bambini di Gaza e della Cisgiordania. Oltre alla miseria e alla vera e propria fame provocate dal blocco israeliano, si sono ora aggiunti i cannoneggiamenti, la distruzione di coltivazioni e di abitazioni, lo sterminio quotidiano. E per la prima volta i soldati di un esercito regolare — quello israeliano — sparano ogni giorno con armi di precisione contro bambini al di sotto dei 14 anni, mirando essenzialmente alla parte superiore del corpo (da qui la grande percentuale di bambini feriti alla testa, agli occhi, all’addome, o anche resi permanentemente invalidi da lesioni alla spina dorsale). Dalla volontà di portare un aiuto anche minimo a questi bambini è nata l’idea di realizzare, anche con i modesti mezzi a disposizione, una campagna di adozione a distanza temporanea che possa portar loro un seppur minimo sollievo. Siamo consapevoli che si tratta di un intervento marginale e che il ruolo essenziale è quello che spetta ai governi europei e agli Usa per imporre ad Israele una pace giusta e con essa la fine di questi infanticidi, e che tocca ai popoli fare pressione sui governi affinché questi intervengano, ma ciò non vuol dire che non si possa creare un movimento di singoli verso singoli, di persone verso persone, che renda concreto un minimo di solidarietà umana.

Sappiamo bene che ci sono anche altre iniziative di aiuto a più ampio raggio, con progetti ben strutturati che aiutano i palestinesi a costruire e gestire asili, scuole, ospedali, ecc., ma siamo convinti che sia giusto dar voce anche ai tanti che individualmente o in gruppo vogliono dare una mano stabilendo un contatto diretto e personale con questo popolo, nel nostro caso con i più piccoli e sfortunati.

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