Gerusalemme, I luglio 2009

vi scrivo dopo quattro giorni dal mio arrivo nei Territori occupati palestinesi, in Cisgiordania. Ho trascorso il primo giorno a Gerusalemme, una città invasa da turisti ignari della tragedia palestinese. I viaggi, organizzati per la maggior parte da parrocchie e /o associazioni cattoliche, hanno lo scopo di far vistare la Terra Santa e le sue città storicamente religiose: Gerusalemme, Nazareth e Betlemme. In questi viaggi si ha l’assaggio dell’occupazione israeliana attraverso i suoi check points e il muro, che comunque “trovano giustificazione” per i turisti nelle ragioni della “sicurezza” .

Oltre alla Terra Santa, c’è un’altra terra, la terra occupata, dove circa 4 milioni di palestinesi vivono quotidianamente in ristrettezze economiche e di movimento, segregati dentro città e villaggi dove i muri e i check points della sicurezza ne determinano la vita.

Le lunghe ore di attesa ai check points, i blocchi e controlli sulle vie di collegamenti per le città di Ramallah, Nablus, Turkarem, Hebron rendono gli scambi e le relazioni difficili se non impossibili. Un palestinese di Ramallah, ad esempio, che ha un permesso di lavoro nella città di Gerusalemme, è possessore di una card magnetica, fornita dal governo israeliano, che deve utilizzare ogni volta che esce da Ramallah ed entro le 12 ore deve rientrare. Se per qualsiasi imprevisto non rientra entro il termine quando si presenta al check point di Qalandia la card viene automaticamente sequestrata dalla apposita macchinetta di lettura, la sicurezza israeliana interviene, ne segue l’interrogatorio e nella maggior parte dei casi il permesso di lavoro viene ritirato.

Libertà di avere un lavoro ad ore!! Ogni Paese, è il caso di dire, ha la sua!

In questi giorni sono stata a Nablus, e ho visitato Sabastia , un villaggio a circa 25 km dalla città, dove si trova un distretto sanitario che da anni eroga servizi ai nove villaggi limitrofi grazie all’intervento economico di alcune istituzioni italiane. Purtroppo a Burqa, uno dei nove villaggi di circa 400 persone, sono stati riscontrati - accertati dal Ministro della Salute palestinese 21 casi di influenza tipo A. La mia visita al distretto di Sabastia, per ragioni di monitoraggio del progetto, mi ha riconfermato la capacità dei palestinesi di sopportare anche queste difficoltà con estrema dignità e condivisione: non potendo ricoverare i malati si è scelto di tenerli chiusi in casa, magari raggruppandoli in un unico luogo. Ho lavorato sul posto utilizzando la mascherina, consapevole della precarietà e della assoluta mancanza di prevenzione. Ma la Palestina è questa, condividere consapevolmente e a volte inconsapevolmente, la quotidianità dei palestinesi.

A Nablus ho fatto visita a pochi dei nostri 18 bambini nel programma di adozione, per il poco tempo che avevo a disposizione, ma devo francamente dire anche a causa del grande caldo e delle condizioni igieniche del campo profughi di Balata dove la maggior parte dei nostri bambini vive. Avevo un regalo per un ragazzo in adozione, ora ha 17 anni, ma non l’ho trovato perché è stato arrestato qualche settimana fa, insieme ad un altro ragazzo sempre nel nostro programma di adozione. Non sono attualmente in possesso di notizie ed ho impegnato il direttore del Medical Relief di Nablus di tenerci informati. La situazione di precarietà, di totale mancanza di libertà per i ragazzi che crescono in un campo profughi, crescono e muoiono nel campo profughi perché non ci sono le condizioni per poter cambiare o semplicemente andarsene, inducono a scelte di ribellione e di resistenza che credo con grande “cuore” passatemi questo termine, dobbiamo comprendere e condannare chi rende disumana la vita dei bambini e degli adulti.

Il mio ritorno a Gerusalemme è stato segnato da un’altra oramai frequente azione quotidiana: l’attacco da parte di coloni a palestinesi che vivono nei villaggi. Ieri sera appena passato il check point di Hawwara il taxi è stato fermato dai soldati israeliani ed in coda per un’ora abbiamo assistito ad un via vai di mezzi militari e ambulanze. Un giovane ragazzo che pascolava gli animali era stato ferito a colpi di fucile da alcuni coloni. Il giovane, che pare non versasse in gravi condizioni, è stato prelevato da un'ambulanza arrivata dalla vicina città di Nablus. Gli attacchi dei coloni a pastori o nei villaggi sono diventati sempre più frequenti . L’altro giorno a Nablus è arrivata un’auto piena di coloni che armati sono scesi e hanno girato per il centro della città. La milizia della A.N.P. ha subito informato il comando israeliano. Sono arrivati con mezzi militari e hanno scortato fuori da Nablus i coloni. Provocazioni di questo tipo sono diventate molto frequenti e sono chiari tentativi di destabilizzare la vita di tutti i giorni dei palestinesi.

…..Così i turisti della Terra Santa, tornano a casa dopo aver visitato i luoghi sacri, ma senza aver conosciuto la Palestina, la terra dei palestinesi, quella terra per la quale si soffre, si muore ma che non si abbandona.

Spero di riuscire ad entrare nella Striscia di Gaza nei prossimi giorni.

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Gerusalemme, 4 luglio 2009

Ciao.

Ieri da Erez mi hanno rispedito a Gerusalemme. Qui non è più chiaro, da tempo, con quali modalità rilascino i permessi. È certo che le ONG internazionali stanno entrando, non so se tutte, e pare con prassi di obbligo di iscrizione a un registro delle associazioni israeliane. Così mi riferiscono. Domani devo telefonare a Erez, agli uffici amministrativi, e sentire se ci sono novità, perché di fatto il processing dell'application form (nuova modalità) è andato a buon fine, ma non mi coordinano l'entrata.

Purtroppo nell'attesa di entrare a Gaza non ho organizzato altre visite in Cisgiordania, ma mi programmo di vistare Hebron. Se non succede qualcosa di nuovo e il permesso non arriva penso di rientrare anche prima di sabato prossimo. Immaginate l'amarezza e il disappunto; si confermano le difficoltà nel coordinamento, l’arroganza, e quanto il movimento delle persone sia legato a decisioni ed azioni discrezionali.

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Gerusalemme, 5 Luglio 2009

Oggi da Erez mi hanno informato che domani posso entrare.

In questi giorni il dott. H. che segue per noi i bambini in Cisgiordania è andato ad Amman. Non abbiamo quindi finito ancora di vistare i bambini nei territori.

Ho già detto ad E. che dobbiamo metterci gambe in spalla e andare a vedere i 10 nuovi casi e visitare i vecchi del 2008. Posticipo il rientro di qualche giorno perché avevo previsto di tornare sabato, ma visto che entro domani a Gaza, ho bisogno di alcuni giorni anche per verificare e definire con la direzione dell’ospedale al-Shifa la lista delle attrezzature per il reparto neonatale-pediatrico.

Non potete immaginare quanto sono felice di andare a Gaza.

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Gaza, 8 luglio 2009

Cari,

per riuscire a scrivere una e-mail con il computer alimentato da generatore è una pena indescrivibile!
Allora in ordine, stamattina alle 6 sveglia perché qui c’è un caldo impossibile. Ore 8 incontro con il responsabile cooperazione e con il direttore dell’ospedale al-Shifa. Abbiamo discusso della lista delle attrezzature per il reparto di pediatria e individuato le priorità. In allegato vi sottopongo le necessità immediate. L’importo è di 36.500 euro. Bisogna acquistare tutto, dalla incubatrice alle lampade per ittero, alle maschere per ossigeno. Se l’importo è troppo alto scrivetemi subito così posso rivedere eventualmente la lista.
Qui il nuovo direttore del MR, scriverà presto una lettera nel merito della nostra collaborazione. Gli ho consegnato l’accordo sui costi, sui tempi e sulle modalità di lavoro a Gaza. Nella lettera ci chiederà il rinnovo del sostegno al centro di riabilitazione motoria di Gaza, e il sostegno al lavoro delle donne presso la struttura di Abu Team.
Domani mattina presto preparo la scritta da mettere allo Shifa e in giornata dovrebbero approntare la targa.
Devo vedere tre casi di bambini da portare in Italia per operazione grazie, mi auguro, al supporto di Enti Pubblici. Io ed E. probabilmente dobbiamo dividerci per verificare i nuovi casi.
Non so come farò a fare tutto, in aggiunta al caldo che fa.
Adesso vi saluto e spero di riuscire a inviare un altro messaggio.
Un abbraccio forte.

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Gaza, 9 luglio 2009

I nostri nuovi casi di bambini feriti da aggiungere al programma sono distribuiti tra Gaza City, Beit Lahia , Khan Yunis, El Bourjn, Zaitun. Il caldo di questi giorni è insopportabile. Oggi visitiamo i bambini di Gaza City e Beit Lahia.

Come sempre le famiglie ci accolgono con grande affetto, non mancando di offrire bevande o caffè. I casi nuovi sono per la maggior parte di bambini con ferite gravemente invalidanti. Come sapete durante l’operazione “Piombo fuso” sono state utilizzate sostanze e armi “non convenzionali”. Le ferite da bruciature di fosforo, da bombardamenti di F16 ci hanno “portato” F. di 3 anni con bruciature sulle gambe, pancia, schiena e viso. La mamma è morta durante l’attacco insieme ad altri 4 parenti. Farah è rimasta da sola con il padre e una sorellina di 8 mesi.

M. di anni ne ha 15. Ha visto morire il suo compagno di scuola sotto la bomba di un F16. Lui è stato ferito al volto ha perso la vista. Ha necessità di occhi artificiali e operazione plastica.

A Khan Yunis trovare I. è un'impresa. Vive in un campo beduino molto vicino al confine israeliano. Giriamo mezz’ora in macchina e poi siamo costretti a far venire il padre, che arriva in bicicletta, vicino ad una scuola a prenderci perché non riusciamo a trovarlo. È stato ferito alla testa e la parte destra del corpo è paralizzata.

Le visite ai bambini sono sempre un’esperienza nuova, grande e forte. Non so cosa si riesce a trasmettere con le descrizioni delle visite, con stralci di un diario sempre “contenuto” per opportunità. Il fatto che le famiglie continuino a mantenere l’impegno e a sostenere i nostri bambini è una conferma che forse riusciamo a farvi stare vicini a situazioni anche se solo conosciute attraverso i nostri scritti e le nostro immagini; è comunque tanto!

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Gaza, 10 luglio 2009

Oggi ho toccato il cielo con un dito: è venerdì giornata di riposo e chiedo ad E. di andare a visitare I., I. ed I. i tre, oramai ragazzi, che nel 2005 persero le gambe durante un attacco di tanks. L’ultima volta li ho visitati a luglio del 2008. Avrete già letto delle miei visite a questi ragazzi ai quali sono affezionata; che ho visto in sala di rianimazione subito dopo le operazioni, che ho seguito in quei giorni con particolare tensione. Oggi hanno dai 18 ai 20 anni. Arriviamo alla casa di I. , sta riposando, ma la mamma insiste che aspettiamo. Arriva I. sulla carrozzina. Guardandolo mi pare che sia cambiato. Poi ci offrono il caffè e ancora questa idea fissa che I. è cambiato. Allora dico ad E. di comunicare a I. questa mia impressione. I. ride, E. anche: I. si è sposato e aspettano una bambina che nasce il mese prossimo. Chiama la moglie, giovane ragazza di 18 anni, sono molto commossa e la madre di I. mi abbraccia forte. Sono confusa guardo la pancia della moglie penso alla speranza di una vita che sta nascendo. Chiedo a I. come si è conosciuto con la moglie e mi racconta che è avvenuto attraverso l’associazione A. che tra le varie attività aiuta anche i ragazzi/e a ritrovare e farsi una vita. L’emozione di questa notizia mi accompagna ancora, la forza e la volontà di I. nel dare un senso alla sua vita, di continuare la vita, quella vita che qualcuno ha tentato di amputare, senza riuscirci. Certo c’è un ragazzo senza gambe, sorridente, che attraverso una nuova vita rinnoverà il diritto ad avere la sua terra, e il riconoscimento ad esistere. E noi che ruolo abbiamo avuto? La risposta è nell’abbraccio commosso della mamma di I., nel viso sorridente di I. e sua moglie. Lascio la casa di I. consapevole che in questi anni, per questi tre ragazzi, non abbiamo contribuito solo all’acquisto di una carrozzina, a sostenere il programma di riabilitazione, ma siamo riusciti con le nostre visite a dare fiducia e a fargli sentire non abbandonati alla loro sofferenza e continueremo!

Finisco la serata di una giornata segnata da una grande gioia a casa di A. la cui moglie soffre di una patologia cardiaca e che verrà in Italia il prossimo autunno per essere operata, ci auguriamo.

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Gaza, 11 luglio 2009

Oggi e’ l’ultimo giorno. Ritorno allo Shifa Hospital per definire gli acquisti delle attrezzature. Vengo invitata al Ministero della Salute dove mi informano delle attività in corso per monitorare gli effetti del materiale sganciato sulla popolazione di Gaza durante l‘operazione Piombo fuso. Purtroppo la mancanza di materiali ed attrezzature non permette di condurre le indagini come sarebbe opportuno fare.

Nel pomeriggio visito Abu Team, una povera località nel centro della striscia di Gaza, dove si trova l’edificio che grazie al nostro contributo è stato ristrutturato in nome e in ricordo di Marisa Musso, Marina Rossanda e Giancarlo Lannutti. Dentro hanno trovato sede, al primo piano un laboratorio per analisi e primo soccorso. Al primo piano si fanno le attività del summer camp e doposcuola per i ragazzi. Le donne qui hanno una spazio per trovarsi e produrre ricami a mano, progetto questo che Gazzella sostiene attraverso l’acquisto dei materiali necessari per la lavorazione. Nei prossimi giorni arriverà il lavoro fatto dalle donne che verrà messo in vendita e il ricavato tornerà a loro per continuare le attività.

A Gaza, il popolo palestinese è ancora sotto assedio: i generi alimentari arrivano per la maggior parte attraverso i tunnel, le medicine scarseggiano; dei materiali per la ricostruzione neppure l’ombra. Ancora circa 50.000 palestinesi vivono fuori casa e nelle tendopoli la vita è impossibile. Il caldo, la mancanza di acqua, di servizi igienici sono alcune delle terribili difficoltà di vivere in una tendopoli.

Da Rafah nono si entra né si esce; i malati e i feriti aspettano. L’urlo del fratello palestinese è una spina al fianco del governo egiziano evidentemente più sensibile alla voce israeliana.

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Gaza, 12 luglio 2009

Oggi devo partire. Lascio la striscia di Gaza, solo fisicamente. Le gioie, le sofferenze me le porto appresso.

G. per Gazzella